Gmg, una "palestra" che addestra al coraggio di testimoniare la fede in pubblico
I primi manifesti cominciano a comparire in alcuni degli scorsi più celebri di Madrid.
Il volto di Benedetto XVI e del motto della prossima Gmg, "Radicati e fondati in Cristo,
saldi nella fede", preparano al grande raduno di agosto, quando dal 16 al 21 del mese
circa due milioni di giovani - secondo le ultime stime - saranno nella capitale iberica
per gli appuntamenti finali dela Giornata insieme con il Papa. Al microfono di Emanuela
Campanile, don Maurizio Mirilli - direttore del servizio diocesano per
la Pastorale giovanile di Roma - racconta come ogni Gmg sia occasione di incontro
con Cristo e di annuncio:
R. - Bisogna
avere il coraggio, il coraggio della fede e la Gmg ha anche questo aspetto: quello
di mostrarla pubblicamente al mondo, davanti a milioni di giovani. Mostrare il proprio
cammino senza ostentazione, naturalmente, ma senza nemmeno paura. Ma affinchè questo
coraggio arrivi necessita di una esperienza concreta. Chi è Dio per questi giovani?
Se un giovane non fa l’esperienza della persona di Gesù Cristo, parla di un’idea,
di un’ideologia. Ma la fede cristiana non è questo: è importante aiutare i giovani
a conoscere bene che cos’è il Vangelo.
D. - Tra l’altro, il Papa in
uno dei suoi discorsi ha detto testualmente: “Una prima condizione è conoscere la
figura di Gesù, come ci appare nei Vangeli”...
R. - Esattamente, e non
come ci appare dai media o da qualche “imbonitore” qualsiasi che va in tv e dice:
Gesù ha detto questo. E’ bene aiutare i ragazzi ad andare direttamente alla fonte,
al Vangelo, fargliene fare un’esperienza concreta e solo allora avranno anche il coraggio
di difenderlo, il coraggio di annunciarlo, il coraggio di andare in piazza, in mezzo
ai giovani di tutto il mondo, a comunicare la propria fede.
D. - Voi
volete creare dei rivoluzionari?
R. - No, noi vogliamo semplicemente
accompagnare i giovani all’incontro con Colui che può cambiare la vita - questo sì!
- che può dare senso pieno alla vita. Se proprio vogliamo parlare di rivoluzione è
la loro vita, normale, ordinaria, che assume un volto completamente diverso rispetto
a prima: diventano persone che si spendono, persone che amano sino a donare sé stesse,
persone che si danno alla generosità in un mondo, invece, totalmente egoistico.
D.
- Bisogna ritornare, dunque, prima di tutto, al desiderio di imparare l’arte del buon
vivere?
R. - Esattamente: educare la gente alla “vita buona” del Vangelo
non solo è buono, ma è anche motivo di felicità. Questa è la chiave di volta. Da educatore
bisogna trasmettere questo ai giovani.(ma)