2011-02-02 14:36:28

Non si ferma la protesta in Egitto; tensione in altri Paesi arabi


In Egitto, l’attività del Parlamento è stata sospesa in attesa che i tribunali si pronuncino sui ricorsi sull’esito delle elezioni legislative di novembre contestate dall'opposizione. Sul terreno, poi, proseguono le proteste. Fonti locali riferiscono di scontri tra sostenitori del presidente e manifestanti contro Hosni Mubarak. Diverse persone sono rimaste ferite. Nel Paese, intanto, il coprifuoco è stato ridotto di due ore e Internet, uno dei principali motori delle proteste di questi giorni in Egitto e nel Nord Africa, ha ripreso a funzionare. Il servizio di Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3

Dopo l’imponente manifestazione di ieri, migliaia di persone anche oggi al Cairo si sono radunate nella piazza, teatro delle proteste di questi giorni, per chiedere le dimissioni di Hosni Mubarak. Nella notte, hanno seguito sul maxischermo il discorso del presidente egiziano che ha detto di non volersi candidare alle prossime elezioni. Ma Mubarak ha anche aggiunto di non voler dimettersi per portare avanti il proprio lavoro e preparare la strada al prossimo governo. Il suo discorso è stato bocciato con fermezza dai manifestanti e dall’opposizione.

El Baradei, ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e incaricato dall’opposizione di negoziare con il governo, ha dichiarato che Mubarak “non ascolta la voce del popolo”. Tra gli schieramenti dell’opposizione radicale, il gruppo dei “Fratelli musulmani” ha inoltre dichiarato che nell’Egitto post Mubarak non intende fondare un “emirato islamico”, come ipotizzato invece da diversi osservatori. Il movimento ha anche precisato che, se prenderà parte al prossimo governo, “i cristiani copti avranno gli stessi diritti dei musulmani e di ogni altro cittadino egiziano”. La situazione in Egitto ha ovviamente un’eco internazionale: negli Stati Uniti il presidente Barack Obama, ha esortato il governo egiziano a iniziare immediatamente il processo di transizione del Paese verso una nuova leadership. “Indicare la classe dirigente” – ha detto Obama - è un “diritto che spetta al popolo”.

Ma non è solo il mondo politico egiziano ad essere messo in discussione. L’onda delle proteste, dopo Tunisia, Algeria ed Egitto, è arrivata anche in Giordania, Marocco, Yemen e Siria. In Giordania il re Abdallah ha accettato le dimissioni del primo ministro. Anche in Marocco si susseguono rivendicazioni politiche ed economiche. E nello Yemen, poi, il presidente Ali Abdulla Saleh ha confermato, sulla scia delle dichiarazioni di Mubarak, l’intenzione di non ricandidarsi alle prossime elezioni. In Siria, infine, su Internet è sempre più prorompente l’appello a manifestare venerdì prossimo, dopo la preghiera islamica, contro la monocrazia e la corruzione. Il mondo arabo e il Nord Africa sono dunque in fermento, in attesa di risposte ad istanze democratiche, politiche e sociali.

Ma dopo le nuove manifestazioni al Cairo e il discorso di ieri di Mubarak - che ha annunciato di voler traghettare il Paese verso il cambiamento, non essendo però disposto a farsi da parte - quale è il futuro immediato per l’Egitto? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa: RealAudioMP3

R. – L’annuncio di Mubarak che non si ricandiderà alle prossime elezioni di settembre è un annuncio che, probabilmente, arriva in ritardo, un po’ com’è accaduto con Ben Ali in Tunisia. Sotto la pressione della folla, Mubarak ha cambiato governo, ha nominato un suo vice e adesso dice di non volersi ricandidare. A questo punto, credo che probabilmente l’annuncio possa avere un effetto negativo per lui e positivo per la folla, come era accaduto in Tunisia. Gli egiziani non hanno più paura di andare fino in fondo, e rimane difficile capire quali siano, per Mubarak, le possibilità di rimanere al potere.

D. – Sarà una transizione “pacifica”, oppure ci sarà comunque una sorta di resa dei conti tra il vecchio e il nuovo regime?

R. – Si sono già poste le premesse per una transizione controllata, almeno da quello che si riesce a capire. L’esercito che ha comunque avuto sempre un ruolo determinante per il potere, fin dalla rivoluzione di Nasser in poi, ha già preso posizione. Ha detto che non sparerà contro i manifestanti, ha già fatto capire a Mubarak che era tempo di ritirarsi ed è probabile che sia l’esercito a pilotare, in qualche modo, la transizione. Non sarà necessariamente una persona dell’esercito stesso a prendere le redini del potere ma è probabile che chiunque voglia candidarsi alla guida del potere debba, in primo luogo, raggiungere un accordo con i militari stessi.

D. – Come vedi queste crisi nordafricane che hanno poi, in parte, influito su situazioni di malcontento anche in altri Paesi?

R. – Sicuramente l’effetto della Tunisia ha sbloccato la paura atavica di questi popoli, di muoversi e di schierarsi massicciamente contro il potere. C’è sempre stata opposizione, ma è chiaro che l’effetto-Tunisia si è fatto sentire ormai in tutta l’area del Mediterraneo e del Medio Oriente. E’ davvero imprevedibile fino a che punto quest’onda andrà avanti o quando, invece, si fermerà. Così come rimane ancora insoluta la questione di quale tipo di transizione alla fine verrà messa in campo. Sicuramente, i fondamentalisti cercheranno di sfruttare questa situazione poiché libera il campo per la propria azione; c’è da dire, però, che a differenza di altri momenti di crisi nella regione, i fondamentalisti questa volta non hanno avuto alcun ruolo fondamentale. (gf)







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