Egitto: un milione di manifestanti al Cairo per chiedere le dimissioni di Mubarak
In Egitto centinaia di migliaia di manifestanti hanno partecipato stamani, al centro
del Cairo, alla protesta antigovernativa. Nel Paese, intanto, continua il blackout
dei sistemi di comunicazione. Internet è fuori uso ed è stata interrotta l'autostrada
tra Suez e il Cairo. Intanto, proseguono le manifestazioni di protesta in tutto l'Egitto.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Sono più
di un milione gli egiziani che stamani hanno manifestato al Cairo chiedendo le dimissioni
del presidente Hosni Mubarak. Oltre al Cairo, migliaia di persone sono scese
in strada ad Alessandra, Ismailia, Suez e nel Sinai. In molti hanno dunque
aderito alla protesta, nonostante la tv di Stato egiziana abbia invitato i cittadini
ad evitare di unirsi alle manifestazioni paventando possibili episodi di violenza.
L'esercito egiziano ha anche reso noto di ritenere “legittime” le richieste dei manifestanti
e aggiunto che non intende usare “la forza contro il popolo”. Sul versante politico,
intanto, il presiedente Mubarak ha dato vita ad un rimpasto di governo. Nel nuovo
esecutivo è escluso, in particolare, il ministro dell’Interno, Habib el-Hadly, ritenuto
responsabile della sanguinosa repressione delle manifestazioni dei giorni scorsi.
Secondo stime dell'Onu sono almeno 300 le persone morte in seguito alle proteste scoppiate
in tutto il Paese. Hosni Mubarak ha anche lanciato un appello al dialogo con le opposizioni,
subito respinto dal gruppo dei “Fratelli Musulmani”. El Baradei, ex direttore dell'Agenzia
internazionale per l'Energia Atomica e incaricato dall'opposizione di negoziare con
l'attuale governo, ha affermato che Mubarak deve lasciare il Paese per evitare “un
bagno di sangue”. In Turchia, poi, il premier Tayyp Erdogan, ha dihicarato che il
presidente egiziano “dovrebbe ascoltare le domande” del popolo. Il governo iraniano
ha auspicato inoltre che il rovesciamento dei regimi attualmente al potere in diversi
Paesi arabi, tra cui l'Egitto, possa portare alla creazione di un Medio Oriente islamico.
In Egitto, intanto, i collegamenti Internet restano bloccati. Il colosso americano
Google ha annunciato di aver comunque messo a punto con Twitter un sistema che consente
di inviare messaggi senza necessità di collegarsi al web. L'Unesco ha infine lanciato
un appello per proteggere l'immenso patrimonio culturale egiziano, tra cui oggetti
e monumenti. Tesori inestimabili, non solo dal punto di vista storico e finanziario,
che rappresentano “l'identità culturale del popolo egiziano”.
Ma
quali sono le cause di questa protesta? Fabio Colagrande lo ha chiesto al gesuita
egiziano padre Samir Khalil Samir, docente di Storia della Cultura araba
e d'Islamologia a Beirut:
R. – Credo
che il motivo essenziale sia prima di tutto la situazione economica pessima di una
gran parte della popolazione. Si legge sui giornali che circa il 40 per cento della
popolazione egiziana vive in condizioni di povertà assoluta: non arrivano a due dollari
a persona al giorno. I prezzi sono saliti in un anno da cinque a trenta volte. I ricchi
ne approfittano, ma i poveri pagano le conseguenze. Di fronte a questo, il governo
fa qualcosa, ma poco. E lì nasce il pericolo dell’islamismo, perché i movimenti islamisti
fondamentalisti, tra cui i “Fratelli musulmani” ed altri, hanno capito che per guadagnare
voti basta promuovere alcune opere sociali.
D. – Condivide dunque il
timore che i movimenti estremisti islamici possano approfittare di questa instabilità
per conquistare il potere?
R. – Certamente, loro vogliono il potere!
I “Fratelli musulmani” sono nati nel 1928 con questo scopo: creare dei Paesi veramente
islamici, perché ritengono che l’Egitto sia troppo influenzato dall’Occidente, che
non è sufficientemente musulmano. Vogliono dunque il potere per fare le riforme che
considerano migliori per il popolo e che altri considerano peggiori. Siamo noi, allora,
a creare questi movimenti se non si garantisce libertà e soprattutto aiuto sociale.
Se manca questo, i movimenti radicali ne approfittano e entrano in questo modo nello
scenario politico. Per il momento c’è la repressione e il regime di Mubarak, sin dall’inizio,
ha vietato questi gruppi politici, che però non limitano il loro raggio d’azione.
Entrano in altri partiti con qualunque nome per proporre una politica islamica. Ma
l’Egitto è un Paese moderato e nella natura dell’egiziano non c’è la ribellione. Vuole
semplicemente vivere.
D. – Solo una vera democratizzazione dell’Egitto
e degli altri Paesi vicini potrebbe essere un antidoto ad una pericolosa presa del
potere da parte dei movimenti più estremisti?
R. – Sì, ma precisiamo
cosa significhi per noi democratizzazione: significa prima di tutto giustizia per
i più poveri. Poi c’è la richiesta di maggiore libertà. Siamo sotto un regime che
controlla troppo, perché ha paura di questi movimenti estremisti. E’ un circolo vizioso.
Come uscirne? Facendo le riforme. Ci sono persone molto ricche e il divario è troppo
grande. Dobbiamo avere, dunque, delle leggi sociali, un sistema di tasse più adatto
a questa situazione, servizi sociali più generalizzati. La scuola si trova in una
situazione catastrofica, con tanti analfabeti che arrivano sul mercato. La realtà
è che non siamo lontani dal 40 per cento di analfabeti. (ap)