Myanmar: prima riunione del Parlamento eletto nelle consultazioni del 7 novembre
In Myanmar si è riunito per la prima volta questa mattina il Parlamento eletto nelle
elezioni del 7 novembre scorso. Si tratta di un evento, la riunione dell'assemblea
parlamentare, che non avveniva da decenni. Nell’assemblea non vi sono rappresentanti
della Lega Nazionale per la Democrazia, il principale partito d’opposizione, guidato
dal premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, recentemente scarcerata dal regime
militare. Quest’ultima, in un’intervista al Financial Times, ha ribadito che dalle
elezioni non c’è da attendersi alcun cambiamento sostanziale per il Paese. Giancarlo
La Vella ne ha parlato con Cecilia Brighi, responsabile del Dipartimento
Politiche Internazionali della Cisl:
R. – Penso
che sia veramente un avvenimento di facciata. Sappiamo tutti che cosa sono state queste
elezioni: sono il risultato di una Costituzione che sostituisce il potere militare
con un potere civile gestito dagli stessi militari di prima. Oltre il 70 per cento
dei seggi sono in mano all’ex organizzazione paramilitare birmana e l’altro 25 per
cento è in mano ai militari designati dalla Giunta. Purtroppo, i governi non vedono
l’ora di ricominciare a fare affari con la Birmania che è un Paese molto appetibile
da questo punto di vista.
D. – Come a dire che l’opposizione in Birmania
rimane sempre stretta all’angolo …
R. – Un elemento chiave è che nessun
giornalista straniero ha avuto la possibilità di poter seguire questa prima riunione
del Parlamento. Quindi, dal punto di vista della repressione non è cambiato niente.
Martedì scorso si è discusso al Consiglio Onu dei Diritti Umani della continua violazione
dei diritti umani fondamentali. Quintana, che è il rappresentante speciale Onu per
la Birmania, ha detto che tali crimini sono da considerare crimini contro l’umanità
e crimini di guerra e ha chiesto la costituzione di una commissione speciale delle
Nazioni Unite per esaminare tali cose. Quindi, la situazione in Birmania è rimasta
tale e quale da questo punto di vista.
D. – Quale possibilità d’azione
avrà Aung San Suu Kyi, che rimane l’emblema della difesa dei diritti umani in Birmania?
R.
- Questo è l’unico elemento importante di questa situazione. Aung San Suu Kyi oggi
è leader, anche se ovviamente si teme per la sua incolumità, e lei ora sta riorganizzando
la rete dell’opposizione democratica. Questa è l’unica novità positiva.
D.
– In un mondo sempre più globalizzato come quello di oggi il regime in Birmania appare
come qualcosa ormai fuori dal tempo?
R. – Certo, però è un regime sostenuto
da Paesi come la Cina. Poi, c’è l’India che non vuole lasciare spazio alla Cina e
quindi, ovviamente, sta rincorrendo gli investimenti cinesi. Però, quello che stiamo
vedendo in Medio Oriente è emblematico. Bisogna anche dire che la Giunta militare
sta nascondendo al popolo birmano tutte le notizie che arrivano dall’Egitto, dalla
Tunisia e dall’Algeria, perché teme che ci possa essere una recrudescenza dei movimenti
del 2007. La storia ci insegna che ci sono sempre dei punti di rottura: quando avverrà
nuovamente il punto di rottura in Birmania, e se le organizzazioni democratiche verranno
aiutate, probabilmente, ci sarà un salto di qualità positivo. (bf)