Attesa per il pronunciamento del Consiglio dei Ministri dell’Ue sulle persecuzioni
contro i cristiani
Oggi pomeriggio a Bruxelles si è riunito il Consiglio dei Ministri dell’UE. La situazione
in Egitto al centro dell’attenzione ma c’è attesa per il pronunciamento sulle persecuzioni
ai cristiani. Dalle indiscrezioni sembra che passerà una linea al ribasso con un riferimento
generico. Il servizio di Fausta Speranza.
Nella scorsa
sessione del Parlamento Europeo è stata votata una Risoluzione chiara e netta in difesa
dei cristiani e del principio di libertà religiosa. Oggi viene chiamato a pronunciarsi
il Consiglio dei Ministri dei 27 Paesi ma al momento nella bozza del documento non
compare la parola cristiani. Piuttosto si fa riferimento a violenze contro credenti.
Una genericità che sorprende e che si accompagna a debolezza di intenti, come spiega
l’europarlamentare Mario Mauro, promotore della Risoluzione:
R. – Sì, da quello che sembra trasparire dalle indiscrezioni, non
ci sarebbero indicazioni concrete per un lavoro a tutela dei cristiani. Questo vorrebbe
dire, in quel caso, una cosa sola: che i ministri degli Affari esteri e soprattutto
la commissaria Ashton si allontanerebbero dal popolo. Partiamo dal presupposto che
i rappresentanti del popolo, eletti a suffragio universale nel Parlamento europeo,
hanno chiaramente detto che cosa bisogna fare. Non solo l’indicazione del Parlamento
era chiara, ma direi anche che, per molti versi, aveva fatto giustizia del sorprendente
imbarazzo con cui le istituzioni europee per anni hanno accompagnato questa tematica.
Finalmente, nel Parlamento europeo ci si è convinti - ed è stato un lavoro durissimo,
portato avanti in questi anni - che esiste un problema di persecuzione dei cristiani
e che non è un problema legato a una necessità di esibizione identitaria. Piuttosto
è il problema di un venire meno della democrazia e della libertà per tutti, e attraverso
il giudizio chiaro su questo tema si contrasta efficacemente anche la logica di organizzazioni
terroristiche e la logica di discriminazione che ancora vige in molti Paesi, più di
50 nel mondo. Queste cose sono state scritte a chiare lettere in una Risoluzione che
è importante anche solo fin dal titolo, perché parla non più degli attacchi a comunità
cristiane qui o là nel mondo, ma del problema in sé nel legame con il contesto della
libertà religiosa. Però, soprattutto, dà anche indicazioni concrete: dice all’Europa
che non deve fare accordi e impostare partenariati con quei Paesi che non garantiscono
la libertà religiosa e dà indicazioni concrete su come procedere sia dal punto di
vista della messa a punto di questi accordi di partenariato, sia dal punto di vista
del monitoraggio della libertà religiosa nel mondo. (bf)
Il pronunciamento
dell’Unione Europea arriva dopo quello la settimana scorsa del Consiglio d’Europa,
organismo distinto di cui fanno parte 47 Paesi. Diciamo subito che è stato un pronunciamento
netto e chiaro contro le persecuzioni ai cristiani, che è venuto dall’Assemblea parlamentare.
In quel caso, questa si è pronunciata dopo il Comitato dei Ministri che invece era
stato più generico, omettendo il termine cristiani. Dunque, al Consiglio d’Europa
premeva la stessa indicazione alla genericità ma il passo in avanti è stato fatto.
Sarebbe davvero triste vedere che i ministri dell’UE fanno qualcosa di meno dell’allargato
Consiglio d’Europa, che contiene tutti i Paesi UE, più Turchia, Russia e tanti altri.
In ogni caso, per capire la posta in gioco e l’importanza del pronunciamento della
scorsa settimana, ascoltiamo mons. Aldo Giordano, Osservatore
Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa:
R. – Innanzitutto,
voglio affermare che il tema della libertà di religione, il tema della persecuzione
dei cristiani, a cominciare dal Medio Oriente, è un tema oggi per fortuna molto presente
e che per la prima volta registriamo una sensibilità su questo argomento. Il 19 gennaio
c’è stato un dibattito del Comitato dei ministri dei 47 Paesi, un dibattito molto
positivo e molto favorevole, in cui tutti hanno espresso la condanna per gli atti
di violenza e la necessità di difendere il diritto umano della libertà di religione;
c’è stato anche un ringraziamento per l’opera della Santa Sede e della Chiesa cattolica
a favore di questa libertà fondamentale. Il giorno dopo, il Comitato dei Ministri
ha elaborato una dichiarazione, e l’aspetto positivo di questa dichiarazione è che
essa viene dal consenso unanime dei 47 Paesi. Il consenso naturalmente ha fatto sì
che la dichiarazione possa apparire un poco generica, perché non ha voluto entrare
nello specifico dei fatti o nello specifico dei cristiani, anche se è chiaro che l’allusione
è ai recenti fatti drammatici. Il capitolo è stato poi affrontato dall’Assemblea parlamentare
dove c’è stata una vasta maggioranza che ha votato un documento che è nato da un dibattito
d’urgenza che la stessa Assemblea parlamentare ha accettato di fare. In questo documento
c’è un riferimento chiaro alla persecuzione dei cristiani, al rischio che ci sia un
progetto per eliminare la presenza dei cristiani da diversi Paesi del Medio Oriente,
e il 27 gennaio, il testo è stato votato a grande maggioranza.
D. –
Alla fine, dunque, il Consiglio d’Europa ha licenziato un voto più che positivo di
47 Paesi, di denuncia delle persecuzioni e di denuncia di persecuzioni - espressamente
detto - contro cristiani?
R. – Proprio così! E questo documento domanda
anche un impegno concreto su punti concreti da sostenere, da parte dei Paesi membri
e del Consiglio d’Europa.
D. – Questa sensibilità per le tematiche è
dovuta a tragici eventi di persecuzioni e di violenze che si sono registrate negli
ultimi mesi in diverse aree del mondo. Ma il Consiglio d’Europa ha prestato attenzione
anche perché ha accolto una delegazione di vescovi che hanno potuto raccontare in
viva voce quanto accade. E’ così?
R. – Esattamente! L’attenzione dell’opinione
pubblica, e anche delle istituzioni, è legata alle tragedie avvenute. Noi, però, speriamo
che l’attenzione non sia viva soltanto al momento delle tragedie, ma che su questo
problema, l’attenzione rimanga poi come fatto stabile. A metà dicembre è venuta qui
a Strasburgo una delegazione di vescovi dell’Iraq, che ha incontrato i parlamentari
dell’Unione Europea, ma anche i responsabili del Consiglio d’Europa, dell’organismo
a 47 Paesi, e questo ha sensibilizzato parecchio sul tema. Infatti, il Comitato dei
Ministri ha fatto la sua discussione legandola proprio ai fatti dell’Iraq e alla visita
dei vescovi. Per il dibattito dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa,
che ha emanato il testo del 27 gennaio, è stata molto utile la presenza di una ulteriore
delegazione di persone provenienti dal Medio Oriente, come il vescovo cattolico di
Aleppo e i rappresentanti delle Chiese ortodosse, orientali e protestanti della regione.
Il 25 gennaio, un gruppo di organismi non governativi ha organizzato, con il nostro
aiuto, un seminario presso il Consiglio d’Europa. Avevamo prenotato una sala con 100
posti e a sorpresa abbiamo dovuto domandare una sala che potesse contenere oltre il
doppio delle persone, per quante adesioni avevamo avuto, compresi parlamentari, funzionari
e persone sensibili alla tematica.
D. – La voce, dunque, della Chiesa
è stata ascoltata, il grido della Chiesa sofferente per le persecuzioni?
R.
– Mi sembra veramente che in questo momento sia ascoltata. La preoccupazione è che
non siano solo le tragedie che costringano ad ascoltare questa voce, ma che diventi
quasi una posizione normale, una posizione culturale di attenzione. Molte persone
sono rimaste sorprese nel notare come quella dei cristiani sia, in percentuale, la
persecuzione più alta, nel mondo, per motivi religiosi. I vescovi dell’Iraq ci hanno
portato le foto delle persone massacrate nella chiesa di Baghdad: quando, dietro ai
drammi e alle tragedie, si vedono i volti delle persone, tutto arriva più direttamente
ai cuori. (ap)