L'ultimo libro di Dominique Lapierre "India mon amour" dedicato all'incontro con l'India
di Madre Teresa. Intervista con l'autore
Un amore lungo una vita: è l’esperienza che Dominique Lapierre racconta nel
suo ultimo libro “India mon amour”. Autore del famoso libro “La Città della Gioia”,
Lapierre questa volta ripercorre le tappe fondamentali di un’esperienza che gli ha
cambiato la vita. Emanuela Campanile ha incontrato l’autore:
R. - Oggi
ci sono due Indie: c’è l’India che brilla, l’India che trionfa commercialmente, l’India
dove è possibile acquistare una Ferrari. E poi c’è l’altra India, l’India dei poveri.
D.
- Perché lei ama l’India?
R. - Tutto è iniziato con una grande inchiesta
storica sulla fine del più grande impero coloniale di tutti i tempi, l’impero britannico,
che ha portato alla libertà e all’indipendenza un quinto dell’umanità: condotta da
uomini santi come il Mhatma Ghandi, che per tutta la durata della sua "crociata" ha
sempre parlato di amore, di tolleranza, di non violenza. Per me, ha significato la
scoperta di questo Paese, realmente una scoperta fantastica. Ho sentito una voce che
mi diceva che non era sufficiente essere uno scrittore: dove essere anche un attore
per contribuire veramente al cambiamento, all’eliminazione di alcune ingiustizie.
Allora andai anche a visitare Madre Teresa di Calcutta.
D. - Infatti
in questo libro, lei racconta anche i retroscena degli incontri che ha fatto…
R.
- Sono stati realmente incontri magnifici. Quando ho parlato con Madre Teresa, le
ho detto che avrei voluto fare qualcosa per i bambini lebbrosi per l’India. Lei mi
ha presentato allora un un inglese, James Stevens, che aveva creato un centro per
i bambini lebbrosi, chiamato “Resurrezione” ma non aveva più soldi per continuare
la sua azione ed era ormai sul punto di chiudere questa isola d’amore al centro dell’inferno.
Con mia moglie - che anche lei si chiama Dominique - restammo così tanto impressionati
da questa "anonima" Madre Teresa, da questo inglese totalmente sconosciuto, che decidemmo
di donare i soldi per continuare questa sua crociata d’amore. Questo fu 30 anni fa,
l’inizio… “India mon amour” è la storia di tutto questo, ma testimonia anche un lavoro
di speranza al contrario, un inno alla capacità dell’uomo di riuscire a superare tutto.
Alla Radio Vaticana ho portato il mio telefono cellulare di Calcutta, la campanella
indiana: questo campanello è il campanello di un uomo-risciò, il taxi di Calcutta,
e serve per annunciare la sua presenza nel traffico caotico di Calcutta. Per me, questo
campanello, portato nella mia tasca nel ricco Occidente, rappresenta la voce di quegli
uomini che, pur non avendo niente, sembrava avessero tutto. D.
- Quindi, l’Occidente che ha così paura della povertà…
R. - Madre Teresa
diceva sempre: “La povertà non è una fatalità; è possibile superare la povertà e tutti
possiamo fare qualcosa”. Madre Teresa diceva ancora: “Salvare un bambino è salvare
il mondo”. (mg)