In Tunisia, soddisfazione dopo l’annuncio della formazione del governo di unità nazionale
In Tunisia, la gente lascia la piazza. Oggi i giornali parlano del neonato governo
di transizione annunciato ieri dal primo ministro Mahmmoud Gannouchi, per portare
il Paese alle elezioni e – come ha sottolineato il premier - senza gli uomini di Ben
Ali, così come la piazza ha chiesto per giorni. Lo stesso Gannouchi, per 11 anni primo
ministro nel regime dell'ex presidente e ancora prima ministro del governo di unità
nazionale ha detto che lascerà alla scadenza del suo mandato tra sei mesi. Ma qual
è il sentire della gente? Fausta Speranza lo ha chiesto all’inviato a Tunisi
dell’agenzia France Presse, Dario Thuburn:
R. - La reazione
è molto positiva. La gente è un po’ stanca di queste proteste quotidiane. Ci sono
stati molti cambiamenti nella vita non solo politica, ma anche nell’economia, nella
vita sociale. Ci vuole ora un po’ di tempo per riuscire ad assorbire questi cambiamenti
e la gente vuole un po’ di calma per fare questo.
D. - Come sarà questa
preparazione alle elezioni tra sei mesi, nell’arena politica?
R. - Sarà
molto difficile, perché nel regime di Ben Alí non c’era una vera opposizione e quindi
non ci sono, in realtà, leader di partiti; non c’è una vera politica, così come noi
la possiamo intendere. Quindi sì, sarà difficile; sarà caotico, forse … Ma la voglia
del popolo, della gente con la quale ho parlato è quella di andare verso la democrazia,
di avere queste elezioni. E poi si vedrà …
D. - Domani a Tunisi è prevista
una manifestazione delle donne: qual è stato e qual è il ruolo delle donne?
R.
- I diritti delle donne sono molto, molto tutelati in Tunisia e questo è - ironicamente
- uno dei grandi successi di Ben Alí e del precedente regime. Adesso, molte donne
sono preoccupate per questi cambiamenti, specialmente riguardo al fondamentalismo
islamico: vogliono capire se tornerà in Tunisia, se tornerà nella politica. Quando
parlo con loro, le donne sono molte caute, mentre gli uomini sono felicissimi di questa
rivoluzione, sono molto fieri. Le donne sono molto più caute. Ora ci sono delle leggi
che tutelano i diritti delle donne nelle famiglie, delle donne divorziate; che permettono
loro di comportarsi come vogliono, di fare la vita che vogliono, di vestirsi come
vogliono. Le donne sono quindi un po’ preoccupate che ci possano essere dei cambiamenti.
D. - In qualche modo, Tunisi è stata presa a modello in Algeria, nello
Yemen, in Egitto: c’è questa sensazione da parte della gente?
R. - Molti
sono fieri di questo e dicono: adesso vogliamo la rivoluzione anche in altri Paesi.
La gente parla della Libia, dell’Algeria, dell’Egitto … I tunisini leggono e sentono
di queste proteste in altri Paesi e sono fieri di questo, perché è cominciato tutto
qui.
D. - Secondo te, c’è una specificità tutta tunisina di questa rivolta?
R.
- Parlando con esperti, mi dicono che sì, ci sono delle specificità tunisine: il fatto
che la popolazione sia abbastanza omogenea, che non vi siano divisioni tribali, non
ci sono divisioni religiose o etniche. La popolazione è molto compatta e questo ha
certamente reso più facile la rivolta. (mg)
Manifestazioni in tutto
l’Egitto: si parla di almeno un morto In Egitto la polizia ha impedito a Mohamed
El Baradei, ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, di prendere
parte a manifestazioni contro il governo del presidente Hosni Mubarak al Cairo. El
Baradei, tornato ieri in patria, ha formato di recente un movimento, l'Associazione
Nazionale per il cambiamento, che chiede riforme democratiche e sociali. La polizia
ha inoltre arrestato quattro giornalisti francesi. Intanto, con un crescendo che di
ora in ora si fa più rapido le manifestazioni contro il regime di Mubarak, si stanno
estendendo in tutta la capitale egiziana. Il capo della diplomazia dell'Unione Europea,
Catherine Ashton, ha chiesto alle autorità egiziane di rispettare il diritto dei loro
cittadini a manifestare pacificamente.
Tensione in Gabon: messo in dubbio
dall’opposizione il capo dello Stato Gli Stati Uniti riconoscono l’attuale
capo di Stato del Gabon, Ali Bongo Ondimba. A chiarirlo un comunicato dell’ambasciata
di Washington a Libreville, dopo le tensioni dei giorni scorsi nel Paese africano.
Ieri le forze dell'ordine della capitale avevano disperso i sostenitori del leader
di opposizione e autoproclamato presidente André Mba Obame, rifugiato da martedì nella
sede del programma per lo sviluppo dell'Onu a Libreville. L'opposizione contesta l'elezione
di Ali Bongo a capo di Stato nell’agosto 2009. Sulla situazione in Gabon, ascoltiamo
Mario Giro, responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio,
intervistato da Giada Aquilino:
R. – È una
vecchia storia, nel senso che quando fu eletto il presidente attuale Ali Bongo, figlio
di Omar Bongo, ci fu una crisi interna al partito che ha governato il Paese fin dall’indipendenza.
Obame e l’attuale presidente fanno parte dello stesso schieramento, della stessa classe
dirigente. Ci fu una battaglia intestina che dura ancora oggi. Non dobbiamo immaginarci,
però, che si tratti di una situazione simile ad altre: sarebbe facile fare il parallelo
con ciò che si sta verificando per esempio in Nord Africa.
D. – Alcuni
organi di stampa hanno paragonato questa situazione alla vicenda della presidenza
contesa in Costa d’Avorio. Secondo lei non è corretto?
R. – Direi proprio
di no. Gbagbo e Ouattara sono un’altra questione. Ouattara non si è autoproclamato
presidente, come ha fatto Obame; Ouattara è stato riconosciuto presidente dalla comunità
internazionale e dall’Onu, mentre il Consiglio costituzionale ivoriano ha proclamato
presidente Gbagbo: una situazione di stallo in un Paese già diviso de facto dal 2002.
In Costa d’Avorio quindi c’è uno scontro tra poteri, tra istituzioni diverse, con
una situazione molto complicata, sia dal punto di vista politico ma, ancor prima,
dal punto di vista giuridico. Per esempio, a questo punto Ouattara ha una difficoltà:
essendo stato riconosciuto internazionalmente, fare un passo indietro significherebbe
smentire non solo se stesso ma tutta la comunità internazionale.
D.
– Che Paese è il Gabon oggi?
R. – È un Paese produttore di petrolio
che si sta affermando con una nuova soggettività nel quadro dell’Africa centrale.
Un Paese piccolo dal punto di vista del numero di abitanti, nel senso che i gabonesi
sono appena un milione e mezzo circa; però, è un Paese che riceve molti immigrati,
che - da questo punto di vista - ha gli stessi problemi che abbiamo noi, in Europa;
è un Paese che ha lavorato molto per la pace e la stabilità dell’Africa centrale,
in particolare durante passati conflitti intestini sia nel Congo Brazzaville sia,
recentemente, in Centrafrica. È uno dei Paesi più stabili dell’area.
D.
– Com’è impegnata la Comunità di Sant’Egidio per il Gabon?
R. – La Comunità
di Sant’Egidio ha buone relazioni con le autorità gabonesi, fin dall’epoca di Omar
Bongo, il quale – in particolare sulla campagna per la moratoria per la pena di morte
– accettò la proposta di Sant’Egidio di abolire definitivamente la pena di morte in
Gabon per tutti i reati e diventare Paese promotore della proposta di moratoria che
l’Italia portava avanti a livello delle Nazioni Unite, cosa che è stata fatta. Poi
abbiamo rapporti in altri campi, in particolare sulla questione delle diverse attività
per la stabilità, la mediazione e la pace nell’Africa occidentale. (gf)
Opposizione
presto di nuovo in piazza in Albania In Albania poco prima l’avvio della nuova
manifestazione dell'opposizione, il partito socialista ha convocato tv e stampa internazionali
per mostrare alcuni dei feriti degli scontri di venerdì scorso, in cui sono morte
tre persone. La deputata socialista e avvocato per i diritti umani, Vasilika Hysi,
ha denunciato “le gravi violazioni dei diritti umani e l'uso della violenza da parte
della polizia, prima e durante la manifestazione del 21 gennaio, nei commissariati,
e poi nelle carceri” dove erano state rinchiuse le 113 persone arrestate. Intanto
il premier albanese Sali Berisha ha garantito, nel corso di una conferenza stampa
“il pieno rispetto del diritto alle proteste pacifiche”, avvertendo però che “in caso
di tentativi di violenza, la legge agirà con tutta la sua forza”. Oltre mille poliziotti,
di cui alcune centinaia in tenuta antisommossa, circondano la sede del governo albanese
dove si fermerà la manifestazione dell'opposizione per rendere omaggio alle tre vittime.
8
morti a Kabul: attentato in un supermercato Sono almeno 8 le persone rimaste
uccise nell'attentato di stamane al supermercato Finest di Kabul e fra essi vi sono
almeno due stranieri. I feriti sono almeno sei. I talebani hanno rivendicato l'attentato,
affermando che intendevano colpire gli stranieri.
Cisgiordania: coloni aprono
il fuoco contro palestinesi, due i feriti Sale la tensione in Cisgiordania
dopo che alcuni coloni hanno aperto il fuoco contro un gruppo di palestinesi, durante
un'escursione avvenuta oggi in una zona compresa fra Betlemme e Hebron. Le ragioni
sono ancora poco chiare. Sono due i palestinesi rimasti feriti. Uno di loro, il diciassettenne
Yussef Ikhleil, è stato colpito da un proiettile alla testa ed è considerato in condizioni
disperate. Il secondo ferito, Murad Ikhleil, 23 anni ha riportato fratture multiple
ad un braccio. Entrambi sono stati ricoverati nell'ospedale al-Ahli di Hebron. Questo
episodio segue un incidente avvenuto ieri ad Arak Burkin dove un palestinese è rimasto
ucciso durante un conflitto fra coloni ed abitanti del posto.
Davos: per
il segretario al Tesoro Usa, finita la fase acuta della crisi economica L'Europa
gestirà la crisi del debito e l'Euro sopravviverà. Se ne è detto convinto il segretario
al Tesoro americano, Timothy Geithner, intervenuto al World Economic Forum di Davos.
Geithner è più fiducioso sul fatto che la fase “acuta” della crisi finanziaria sia
ormai superata. La crescita, però, ha spiegato nel corso del World economic forum
di Davos, non è abbastanza forte da ridurre rapidamente il tasso di disoccupazione.
Lo shock causato dalla crisi rende infatti le imprese “recalcitranti” nelle nuove
assunzioni, ha aggiunto secondo quanto riporta l'agenzia Bloomberg.
Spagna:
approvato il progetto di riforma sulle pensioni Il governo spagnolo del premier
socialista Josè Luis Zapatero ha approvato oggi il progetto di riforma delle pensioni,
che porta fra l'altro l'età del pensionamento da 65 a 67 anni: lo ha annunciato dopo
la riunione settimanale del Consiglio dei ministri il vicepremier Alfredo Rubalcaba.
In
Italia arrestato l’ex vicecapo della Protezione civile Marta Di Gennaro, ex
vice di Guido Bertolaso alla Protezione Civile ed il prefetto Corrado Catenacci, ex
commissario ai rifiuti della Regione Campania sono stati arrestati nell'ambito di
un'operazione per reati ambientali eseguita in varie zone d'Italia dai carabinieri
del Noe (Nucleo Operativo Ecologico) e dalla Guardia di Finanza di Napoli, coordinata
dalla procura della Repubblica di Napoli. Ai due è stato concesso il beneficio degli
arresti domiciliari. Nella stessa operazione sono state arrestate altre 12 persone.
Le accuse sono di associazione per delinquere, truffa e reati ambientali.
Non
si sblocca la crisi politica in Belgio In Belgio il leader dei socialisti francofoni,
Elio Di Rupo, ha lanciato l'appello per un governo di unità nazionale che si occupi
delle necessarie riforme economiche e sociali. Ma dal partito indipendentista fiammingo
(N-VA) di Bart De Wever, uscito vincitore dalle elezioni di giugno, arriva per ora
un secco "no". E scettici si dimostrano anche gli altri partiti fiamminghi. L'appello
di Di Rupo era arrivato dopo il fallimento dell'ennesima mediazione tra partiti fiamminghi
e francofoni, che dal giugno scorso non riescono a trovare un accordo sulla riforma
federale e dunque sul nuovo governo. Il Re Alberto II ha ripreso in questi giorni
le consultazioni politiche.
Cuba: arrestato nuovamente il dissidente Guillermo
Farinas Secondo arresto in meno di 24 ore per l’oppositore cubano e premio
Sakharov 2010, Guillermo Farinas. Mercoledì scorso il dissidente era stato arrestato
dalla polizia locale, e poi rilasciato, insieme ad altri 15 oppositori a Santa Clara.
Oggi è stato nuovamente arrestato sempre a Santa Clara con altri dieci dissidenti,
mentre si dirigeva verso un posto di polizia per chiedere notizie sull'arresto di
altri oppositorii. Farinas, psicologo, giornalista, analista politico si occupa da
tempo di diritti umani e nei mesi scorsi ha messo a serio rischio la sua vita per
uno sciopero della fame deciso con altri dissidenti per chiedere la liberazione di
prigionieri politici. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 28