2011-01-27 16:28:17

Le riflessioni di Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, e della prof.ssa Anna Foa: il ricordo dell'Olocausto tutela il futuro


Non far dimenticare al mondo la lezione lasciataci dalla tragedia della Shoah è l’obiettivo dell’odierna “Giornata internazionale di commemorazione per le vittime dell’Olocausto”. Nel messaggio per questa Giornata, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ricorda in particolare “madri e figlie, nonne e sorelle che hanno visto la loro vita cambiare irrevocabilmente, le loro famiglie separate e le loro tradizioni in frantumi”. Storie legate anche all’orrore di campi di sterminio come quello di Auschwitz. Il servizio di Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3

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Sono passati 66 anni dalla liberazione dei superstiti del campo nazista di Auschwitz. Era il 27 gennaio del 1945 e le truppe sovietiche aprivano i cancelli di quel luogo di sterminio svelando al mondo la terrificante verità dell’Olocausto. Quella, ancora oggi, non è una storia d’altri tempi ma una pagina che rivive nelle testimonianze dei sopravvissuti, nelle iniziative commemorative e nelle coscienze. “Se comprendere è impossibile – ha scritto Primo Levi, uno dei testimoni della Shoah - conoscere è necessario”. E per ricordare quell’orrore, il campo di Auchwitz è diventato un museo. Ad Auschwitz, come in diversi altri campi di sterminio, uomini, donne e bambini non erano più esseri umani. Tutto era stato pianificato per annientare il fisico e cancellare la dignità umana. La dieta e le razioni ridotte, assieme al lavoro coatto, portavano allo sfinimento, il tatuaggio e un numero sostituivano il nome.

Oggi, davanti agli occhi dei visitatori, scorrono ad Auschwitz lasciando tracce indelebili bambole, vestiti e giocattoli di tanti bambini che non diventarono mai grandi, fusti di gas con il famigerato "Zyklon B" utilizzato nelle camere a gas, mucchi di capelli tagliati ai deportati, gli ambulatori dove medici nazisti conducevano esperimenti indicibili. Frammenti di una tragedia, quella dell’Olocausto, che ha portato alla morte oltre sei milioni di persone. Testimonianze e ricordi, che non si possono smarrire con il passare degli anni. “Se ogni anno si rinnova in Italia, come altrove nel mondo, la memoria di quella tragedia immane che fu la Shoah – scrive il presidente italiano, Giorgio Napolitano – ciò si deve alla volontà di rafforzare nell’animo delle nuove generazioni la certezza che l’uomo che si ispira a sentimenti istintivi e profondi di giustizia e di amore del prossimo riesce sempre a trovare la forza per combattere il male”.

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Ed oggi, in Italia, si celebra il “Giorno della memoria” per ricordare, in particolare, la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte. Piero Terracina, uno dei pochi ebrei italiani sopravvissuti al campo di sterminio nazista di Auschwitz, ripercorre al microfono di Amedeo Lomonaco la sua drammatica storia:RealAudioMP3

R. – È la più grande tragedia che possa capitare ad un essere umano. Non è iniziata quella sera del 7 aprile 1944, quando le SS tedesche, accompagnate da due fascisti italiani, sono venute a bussare alla porta dove, con la mia famiglia, eravamo rifugiati, ma è iniziata molto prima. Per me iniziò nel 1938, quando il governo italiano di allora, il governo fascista di Mussolini, con il re Vittorio Emanuele III – che firmò le leggi razziali – emanarono i primi provvedimenti contro gli ebrei, che divennero così cittadini di "serie B", con moltissime limitazioni. Il mio cammino verso Auschwitz è iniziato esattamente il 5 settembre 1938, quando furono emanate le prime leggi razziali contro gli ebrei.

D. – Un drammatico cammino, che è poi proseguito fino all’arrivo al campo di concentramento di Auschwitz...

R. – Sono partito con la mia famiglia, eravamo otto persone ed io avevo 15 anni. Sono ritornato a Roma quando avevo 17 anni e mi sono ritrovato solo e disperato. Non avevo più nessuno. Di otto persone della mia famiglia soltanto io ero sopravvissuto all’inferno, perché quello era l’inferno. Ritrovarsi soli a 17 anni, dover iniziare una vita da soli, senza il supporto della famiglia, senza il sorriso o la carezza della mamma, è una cosa terribile.

D. – E poi, il 27 gennaio del 1945, è arrivato il momento della liberazione del campo di concentramento...

R. – C’è chi dice che sia stato il destino a salvarmi. Io dico che è stato il caso. Soltanto il caso ha voluto che, all’arrivo delle truppe sovietiche nel campo di Auschwitz, io fossi ancora in vita. Se avessero ritardato anche soltanto di una settimana, non avrebbero trovato più nessuno in vita.

D. – Ricordi come questi non si smarriscono e sono un monito per il futuro...

R. – Non c’è niente, assolutamente niente che si è cancellato dalla mia mente. Quando sono tornato ricordavo tutto, nei minimi particolari. Niente è andato perso. Certamente mi accorgo che c’è un "ritorno" positivo: quando si riesce a far capire, soprattutto ai giovani, quello che è stato, quando si trasmettono delle commozioni, credo che ci sia un riscontro positivo e questo è molto, molto importante. La testimonianza, la trasmissione della memoria è diventata lo scopo della mia vita, soprattutto nei confronti dei giovani, che è giusto conoscano questi fatti e che si tutelino per il futuro, perché è accaduto e può accadere ancora. (vv)

Ma le testimonianze, la memoria e la storia vengono a volte negate o distorte. Uno dei fenomeni più preoccupanti, ad esempio, è oggi la proliferazione di siti Internet che diffondono tesi antisemite e negazioniste in rete. E’ quanto sottolinea Anna Foa, docente di Storia moderna presso l’Università “La Sapienza” di Roma, intervistata da Fabio Colagrande: RealAudioMP3

R. – Io lo considero pericoloso, non solo per il fatto di essere antisemitismo, ma anche perché è rivelatore di una forte sciatteria, decadenza della conoscenza. Quello che si sta perdendo e l’antisemitismo e tutti questi siti ne sono solo il sintomo è proprio la capacità di conoscere, la capacità di distinguere il vero dal falso. C’è una sorta di grande amalgama in quelle spiegazioni più facili, come quella del complotto, le uniche che tendano ad un calo enorme sia della conoscenza che dei suoi strumenti.

D. – Cosa pensa dell’idea di un provvedimento legislativo, che limiti questo proliferare dell’antisemitismo in rete?

R. – Sono contraria ad un provvedimento legislativo che consideri reato il negazionismo e non credo che sia possibile limitare la rete. Magari fosse possibile fare un controllo, credo sia molto difficile. Credo che il provvedimento di rendere reato il negazionismo semplicemente finirebbe per colpire un reato d’opinione, nel trasformare i negazionisti in martiri e per essere assolutamente inefficace. Penso che, invece, valga la pena e sia importante controllare la didattica: come noi non affideremmo ad un professore di matematica, che sostiene che due più due fa cinque, non possiamo affidare a chi dice delle menzogne o incita all’odio di razza, la didattica e la docenza.

D. – Come celebrare la Giornata della memoria in modo non retorico, ma portando un contributo concreto proprio allo sviluppo della società, della cultura?

R. – Forse non limitandosi a farne un momento civico di esortazione all’etica, ma anche legandolo alla conoscenza: per esempio, studiando insieme nelle scuole un episodio, un momento, lavorando sul serio sulle fonti, smontando alcuni aspetti del pregiudizio, non semplicemente limitandosi alle buone parole e al rito civico. (ap)

Francia, 1942: nella Parigi occupata si consuma una delle pagine più efferate della Seconda Guerra Mondiale: la retata di 13 mila ebrei ordinata dai nazisti e messa in atto dalla Francia collaborazionista, nella quale furono migliaia i bambini strappati ai genitori. La regista Rose Bosch rievoca questo episodio poco conosciuto della storia nel film “Vento di primavera” sugli schermi italiani da oggi, Giornata della Memoria. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

“Eccoli! Stanno arrivando!

Quanti ce ne sono? Quanti sono?

Cinquemila …

Papà!”

Dalla memoria alla storia attraverso il cinema: per ricordare colpe rimosse, orrori dimenticati, violenze subite, la perdita di una coscienza. Iniziava, infatti, a soffiare il vento di primavera, lasciando poi il posto all'afa dell'estate, sulla Parigi occupata dalle truppe naziste. All'alba del 16 luglio 1942, in una retata apocalittica e spaventosa, vengono rastrellati 13 mila ebrei, ammassati come bestie nel Velodromo d'Inverno, in attesa di essere soppresse. Rose Bosch ha convissuto dieci anni con questa lontana realtà e per tre vi si è immersa giorno e notte per recuperare più materiale possibile, più testimonianze dirette, per esprimere il suo amore per la verità e la sua speranza di giustizia. Si trattava anche di toccare aspetti delicati, come quello del collaborazionismo nella Francia del Maresciallo Pétain, una zona d'ombra e un malessere mai rimosso. Il film nasce come una creatura delicata, perché è delicato raccontare la storia di migliaia di bambini ebrei strappati ai genitori e avviati alla morte, è delicato rivivere quei fatti, anche se nel clima di un set cinematografico, è delicato lavorare con oltre duecento piccoli e immedesimarli in un contesto così orrendo, spaventoso. Nel film, giustamente, l'intimo delle famiglie spezzate è messo a confronto con l'intimo dei poteri sanguinari, anche Hitler, che ha pietà per gli animali e al macello invia, invece, esseri umani. Tanti i motivi di discussione. Ma quanto effettivamente di questa storia del ’42 era conosciuto in Francia? Lo abbiamo chiesto alla regista, Rose Bosch:

R. – Dans ma génération, ça représentait seulement trois lignes dans le livre…
Nella mia generazione, tutto questo veniva liquidato nei libri di storia con tre righe. In Francia ci si è completamente dimenticati che ci sono stati 200 campi, simili ai campi di concentramento della Polonia: con le stesse torri di guardia, con gli stessi cani-poliziotto, eccetto che per il fatto che le uniformi erano francesi… Di tutto questo, non c’era alcuna immagine, neanche una foto. Ho ritrovato i sopravvissuti, che erano bambini all’epoca e che erano riusciti ad evadere. Io racconto proprio la storia dell’evasione di questi bambini.

Protagonista è Joseph, allora un ragazzino biondo e dolce, oggi un adulto che Rose Bosch è riuscita a trovare e che è stato prezioso per la ricostruzione, assolutamente affidabile perché incardinata sull'esistenza di 74 personaggi veri…

R. – D’abord il y a fallut que je les trouve …
Prima di tutto, ho dovuto trovarli. Serge Klarsfeld, il mio consigliere storico, pensava che non sarei mai riuscita a trovare quei bambini, il cui destino avrebbe potuto condurmi proprio in quel campo francese che io volevo mostrare, che io volevo filmare. Poi un giorno, mio suocero, mi ha mandato una videocassetta che conteneva una trasmissione televisiva di 15 anni prima, nella quale un uomo anziano raccontava che al momento dei fatti aveva 10 anni, che viveva a Montmartre e viveva una vita molto felice. Ancora, raccontava come fosse stato prelevato dalla sua abitazione alle quattro del mattino dalla polizia francese e come, arrivato in un campo, fu brutalmente separato da sua madre, a colpi di bastone. In quel momento decise che sarebbe evaso. In questa intervista quest’uomo si mise a piangere e disse: “Nessuno, oserà mai realizzare un film su quello che ci è successo!”. Io l’ho cercato ovunque, non sapevo se fosse vivo o morto… Un giorno, mi è stata consegnata una lettera, anche questa di 15 anni prima, con un indirizzo: l’aveva scritta lui ad un ministro per raccontare la sua esperienza. Ma dato che io non riuscivo a trovarlo, decisi allora di scrivergli una lettera, dicendo: “Il film del quale lei ha parlato, io lo faccio! Se è ancora in vita, lei ne sarà il protagonista”. E lui mi ha telefonato.

D. – Jean Reno, che nel film interpreta un coraggioso medico ebreo, esclama: “Qualcuno un giorno pagherà per questo”. Ma qualcuno ha pagato per quello che è successo in quel mese di luglio del ‘42?

R. – No, no. C’est pour ça que je lui ai fait dire ce phrase …
No, no. E’ per questo che gli ho fatto dire questa frase. E questo perché in verità, dopo la guerra, la Francia e il generale De Gaulle hanno voluto conservare lo Stato, uno Stato che funzionava: per questo, molti pochi responsabili sono stati puniti per questi fatti: Laval è stato fucilato, alcuni responsabili hanno scontato qualche anno in prigion. Ma anche le persone che erano state condannate al carcere a vita sono state graziate negli anni Sessanta e queste persone hanno poi condotto una vita normale. Fra l’altro, uno dei responsabili francesi dell’organizzazione di questo rastrellamento – che si vede nel film, perché nel film io mostro Pétain, Laval, ma anche Hitler e Himmler, tutti i responsabili sono lì – è rimasto in Francia, ci ha vissuto liberamente, è stato anche amico intimo di François Mitterrand. Quando Serge Klarsfeld è riuscito a farlo accusare per crimini contro l’umanità, poco prima che parlasse, è stato assassinato, dicono da un pazzo. Penso si sia trattato di un assassinio politico. In effetti, la Francia non ha compiuto questa opera di punizione, di castigo… Credo allora che il malessere dei francesi riguardo a questa collaborazione venga da ciò: se non vengono puniti i colpevoli, allora avrete un Paese intero che non sa quel che vale! (mg)







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