La retata di 13 mila ebrei nella Francia di Pétain del '42 rievocata nel film "Vento
di primavera"
Francia, 1942: nella Parigi occupata si consuma una delle pagine più efferate della
Seconda Guerra Mondiale: la retata di 13 mila ebrei ordinata dai nazisti e messa in
atto dalla Francia collaborazionista, nella quale furono migliaia i bambini strappati
ai genitori. La regista Rose Bosch rievoca questo episodio poco conosciuto della storia
nel film “Vento di primavera” sugli schermi italiani da oggi, Giornata della Memoria.
Il servizio di Luca Pellegrini:
“Eccoli!
Stanno arrivando!
Quanti ce ne sono? Quanti sono?
Cinquemila
…
Papà!” Dalla memoria alla storia attraverso il cinema: per
ricordare colpe rimosse, orrori dimenticati, violenze subite, la perdita di una coscienza.
Iniziava, infatti, a soffiare il vento di primavera, lasciando poi il posto all'afa
dell'estate, sulla Parigi occupata dalle truppe naziste. All'alba del 16 luglio 1942,
in una retata apocalittica e spaventosa, vengono rastrellati 13 mila ebrei, ammassati
come bestie nel Velodromo d'Inverno, in attesa di essere soppresse. Rose Bosch ha
convissuto dieci anni con questa lontana realtà e per tre vi si è immersa giorno e
notte per recuperare più materiale possibile, più testimonianze dirette, per esprimere
il suo amore per la verità e la sua speranza di giustizia. Si trattava anche di toccare
aspetti delicati, come quello del collaborazionismo nella Francia del Maresciallo
Pétain, una zona d'ombra e un malessere mai rimosso. Il film nasce come una creatura
delicata, perché è delicato raccontare la storia di migliaia di bambini ebrei strappati
ai genitori e avviati alla morte, è delicato rivivere quei fatti, anche se nel clima
di un set cinematografico, è delicato lavorare con oltre duecento piccoli e immedesimarli
in un contesto così orrendo, spaventoso. Nel film, giustamente, l'intimo delle famiglie
spezzate è messo a confronto con l'intimo dei poteri sanguinari, anche Hitler, che
ha pietà per gli animali e al macello invia, invece, esseri umani. Tanti i motivi
di discussione. Ma quanto effettivamente di questa storia del ’42 era conosciuto in
Francia? Lo abbiamo chiesto alla regista, Rose Bosch:
R.
– Dans ma génération, ça représentait seulement trois lignes dans le livre… Nella
mia generazione, tutto questo veniva liquidato nei libri di storia con tre righe.
In Francia ci si è completamente dimenticati che ci sono stati 200 campi, simili ai
campi di concentramento della Polonia: con le stesse torri di guardia, con gli stessi
cani-poliziotto, eccetto che per il fatto che le uniformi erano francesi… Di tutto
questo, non c’era alcuna immagine, neanche una foto. Ho ritrovato i sopravvissuti,
che erano bambini all’epoca e che erano riusciti ad evadere. Io racconto proprio la
storia dell’evasione di questi bambini.
Protagonista è Joseph, allora
un ragazzino biondo e dolce, oggi un adulto che Rose Bosch è riuscita a trovare e
che è stato prezioso per la ricostruzione, assolutamente affidabile perché incardinata
sull'esistenza di 74 personaggi veri…
R. – D’abord il y a fallut que
je les trouve … Prima di tutto, ho dovuto trovarli. Serge Klarsfeld, il
mio consigliere storico, pensava che non sarei mai riuscita a trovare quei bambini,
il cui destino avrebbe potuto condurmi proprio in quel campo francese che io volevo
mostrare, che io volevo filmare. Poi un giorno, mio suocero, mi ha mandato una videocassetta
che conteneva una trasmissione televisiva di 15 anni prima, nella quale un uomo anziano
raccontava che al momento dei fatti aveva 10 anni, che viveva a Montmartre e viveva
una vita molto felice. Ancora, raccontava come fosse stato prelevato dalla sua abitazione
alle quattro del mattino dalla polizia francese e come, arrivato in un campo, fu brutalmente
separato da sua madre, a colpi di bastone. In quel momento decise che sarebbe evaso.
In questa intervista quest’uomo si mise a piangere e disse: “Nessuno, oserà mai realizzare
un film su quello che ci è successo!”. Io l’ho cercato ovunque, non sapevo se fosse
vivo o morto… Un giorno, mi è stata consegnata una lettera, anche questa di 15 anni
prima, con un indirizzo: l’aveva scritta lui ad un ministro per raccontare la sua
esperienza. Ma dato che io non riuscivo a trovarlo, decisi allora di scrivergli una
lettera, dicendo: “Il film del quale lei ha parlato, io lo faccio! Se è ancora in
vita, lei ne sarà il protagonista”. E lui mi ha telefonato.
D. – Jean
Reno, che nel film interpreta un coraggioso medico ebreo, esclama: “Qualcuno un giorno
pagherà per questo”. Ma qualcuno ha pagato per quello che è successo in quel mese
di luglio del ‘42?
R. – No, no. C’est pour ça que je lui ai fait dire
ce phrase … No, no. E’ per questo che gli ho fatto dire questa frase. E
questo perché in verità, dopo la guerra, la Francia e il generale De Gaulle hanno
voluto conservare lo Stato, uno Stato che funzionava: per questo, molti pochi responsabili
sono stati puniti per questi fatti: Laval è stato fucilato, alcuni responsabili hanno
scontato qualche anno in prigion. Ma anche le persone che erano state condannate al
carcere a vita sono state graziate negli anni Sessanta e queste persone hanno poi
condotto una vita normale. Fra l’altro, uno dei responsabili francesi dell’organizzazione
di questo rastrellamento – che si vede nel film, perché nel film io mostro Pétain,
Laval, ma anche Hitler e Himmler, tutti i responsabili sono lì – è rimasto in Francia,
ci ha vissuto liberamente, è stato anche amico intimo di François Mitterrand. Quando
Serge Klarsfeld è riuscito a farlo accusare per crimini contro l’umanità, poco prima
che parlasse, è stato assassinato, dicono da un pazzo. Penso si sia trattato di un
assassinio politico. In effetti, la Francia non ha compiuto questa opera di punizione,
di castigo… Credo allora che il malessere dei francesi riguardo a questa collaborazione
venga da ciò: se non vengono puniti i colpevoli, allora avrete un Paese intero che
non sa quel che vale! (mg)