Benedetto XVI a S. Paolo fuori le Mura per la conclusione della Settimana di preghiera
per l’Unità dei Cristiani
Benedetto XVI presiederà stasera, alle 17.30 nella Basilica di San Paolo fuori le
Mura, la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San
Paolo Apostolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani,
quest’anno sul tema “Uniti nell'insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello
spezzare il pane e nella preghiera”. Sempre a San Paolo fuori le Mura, il cardinale
presidente del dicastero per l’Unità dei Cristiani, Kurt Koch, aveva presieduto un
incontro ecumenico che aveva vissuto come momento centrale la messa a dimora di un
albero in gemellaggio con il progetto del “Giardino di Lutero” a Wittenberg, in Germania.
Per una testimonianza sull’importanza del dialogo ecumenico in Terra Santa, Philippa
Hitchen ha intervistato il vescovo anglicano di Gerusalemme, Suheil Dawani:
R. - In Jerusalem
there are thirteen traditional churches… A Gerusalemme sono presenti 13
chiese tradizionali e l’adesione ecumenica è veramente molto forte, come testimoniano
anche altri appuntamenti nei quali ci ritroviamo insieme, come nelle feste maggiori.
Ci incontriamo quasi ogni mese per discutere dell’attuale situazione dei cristiani
e delle maggiori sfide che devono affrontare la Chiesa e la comunità cristiana a Gerusalemme.
Posso dire che ci sono buone relazioni tra tutte le Chiese presenti qui a Gerusalemme.
D.
– Questo accade a livello di leadership delle Chiese o anche a livello di semplici
fedeli, forse un po’ frustrati dai mancati progressi - progressi ufficiali - del movimento
ecumenico?
R. - Well, the work, the main work is among the leadership… Il
lavoro principale viene svolto dalla leadership delle Chiese, ma i fedeli sono veramente
molto uniti fra loro. In questa regione, a chiunque si chieda a quale confessione
appartenga, non risponderà mai dicendo: “Sono cattolico, ortodosso o anglicano…”.
Noi siamo cristiani. E siamo molto, molto uniti. Credo, tuttavia, che da parte nostra,
delle Chiese, ci sia ancora molto da fare.
D. - Pensa che qui a Gerusalemme
si possa giocare un ruolo speciale per aiutare noi, che ad esempio siamo a Roma o
a Canterbury, a meglio comprendere la mentalità delle Chiese orientali, così da poter
compiere progressi tra est ed ovest?
R. - Well, we have really to say
something, the role of Christian community… Bisogna dire che, in effetti,
il ruolo delle comunità cristiane qui in Gerusalemme è veramente molto importante,
perché i cristiani qui sono “indigeni”, cioè vivono qui da sempre. Noi dobbiamo e
possiamo essere un ponte per gli altri e in molte occasioni siamo stati effettivamente
un ponte tra le altre religioni, tra l’ebraica e la musulmana. Ma possiamo giocare
un ruolo importante anche perché alcune nostre Chiese hanno sede fuori dalla regione,
pur restando sempre Chiese d’Oriente. Ecco perché possiamo svolgere un ruolo importante
nell’unire qui, a Gerusalemme, oriente e occidente. Inoltre, svolgiamo un ruolo molto
forte anche nel processo di pace, poiché promuoviamo la pace e la riconciliazione
in questa parte del mondo, lavorando con le altre religioni. L’importanza della presenza
cristiana qui è vitale per la regione e per Gerusalemme stessa.
D. -
Sembra esserci una consapevolezza crescente tra i cristiani e le Chiese d’Oriente
di poter e dover giocare un ruolo ancora più importante nel sostenere i cristiani,
piuttosto che aspettare che aiuto e sostengo arrivino dall’esterno…
R.
- We are doing our best to help our parishes and our community… Stiamo cercando
di fare del nostro meglio per aiutare le nostre parrocchie e la nostra comunità. Ma
con le nostre risorse limitate, è difficile far fronte ai loro bisogni. La nostra
priorità assoluta è fare in modo che i giovani non lascino il Paese: siamo infatti
testimoni di una grande emigrazione da parte dei giovani. E’ molto importante riuscire
a farli restare qui. Ed è per questo che per la Chiesa anglicana, come per le altre,
l’educazione resta fondamentale. Noi cerchiamo di fare del nostro meglio per fornire
loro un’adeguata formazione, perché restino dove sono nati. Abbiamo bisogno ovviamente
anche dell’aiuto di altri partner, soprattutto nel campo dell’educazione e in quello
professionale, che cioè aiutino i giovani a trovare un lavoro. I giovani che crescono
qui non trovano un lavoro: è per questo che decidono di partire, per questo non vogliono
rimanere nel Paese. (mg)