Il cardinale Camillo Ruini sulla beatificazione di Giovanni Paolo II: la cosa che
più colpiva era la profondità e la spontaneità del suo rapporto con Dio
Giovanni Paolo II sarà proclamato beato il prossimo primo maggio. Benedetto XVI ha
autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto che riconosce
un miracolo avvenuto per intercessione di Papa Wojtyla. La beatificazione coinciderà
con la Domenica in Albis, cioè la prima successiva alla Pasqua, nella quale lo stesso
Papa polacco istituì la Festa della Divina Misericordia. Davide Dionisi ha
chiesto al cardinale Camillo Ruini, vicario generale emerito di Sua Santità
per la diocesi di Roma, come è stata accolta la notizia:
R. – È stata
per me una gioia grande e anche molto personale. Dopo tanti anni in cui ho avuto la
grazia di Dio di potere collaborare strettamente con Giovanni Paolo, con una persona
che adesso anche la Chiesa ufficialmente riconosce come beato, è questo il primo gradino
verso il riconoscimento della santità.
D. – Lei ha conosciuto Giovanni
Paolo II nel lontano 1984 e ha vissuto a stretto contatto con lui. C’è qualcosa della
personalità di Papa Wojtyla che le è rimasto dentro?
R. – La cosa che
più colpiva era proprio la santità, la profondità e la spontaneità del suo rapporto
con Dio: il suo modo di pregare, la sua preghiera … Lui era capace di immergersi immediatamente
nella preghiera, di ‘sprofondarsi’ nella preghiera. E anche il suo atteggiamento costante,
per cui tutte le cose di cui si occupava, di cui parlava erano sempre compiute in
questa chiave del rapporto con Dio.
D. – Quale è stato, secondo lei,
il tratto distintivo del suo pontificato?
R. – In primo luogo, quello
dell’evangelizzazione. Ricordiamo le parole dell’inizio: “Non abbiate paura! Spalancate
le porte a Cristo!”. La presenza di Dio, la presenza di Gesù Cristo, il rilancio della
fede: è stato un grande evangelizzatore in prima persona, dalle parrocchie di Roma
a tutti i Paesi del mondo. E’ stato anche un grande promotore delle forze capaci di
evangelizzazione nella Chiesa. In secondo luogo, questa evangelizzazione riguardava
proprio l’uomo concreto, quindi la sollecitudine per l’uomo concreto: Cristo Redentore
dell’uomo. E anche l’altra frase famosa: l’uomo è la via della Chiesa e sulla via
che va da Cristo all’uomo la Chiesa non può essere fermata da nessuno. Con questa
prospettiva, è riuscito ad incidere profondamente anche sul corso della storia: in
qualche modo, ha cambiato il mondo.
D. – Anche Benedetto XVI ha continuato
il suo messaggio, raccogliendone l’eredità…
R. – Io credo che Benedetto
XVI, così come è stato il primo collaboratore di Giovanni Paolo II, è anche l’erede
originale e creativo, naturalmente, ma il grande erede di questo pontificato e il
grande continuatore di questo pontificato. Per cui, tra i due pontificati c’è una
continuità profondissima. Decisiva è certamente la diversità delle due personalità.
Per quanto riguarda Benedetto XVI vorrei richiamare due sue frasi: “Dio al centro”.
Dio è al centro della vita e l’umanità deve riscoprire questa centralità di Dio. E
la seconda è: “Allargare gli spazi della razionalità umana”. Allargare gli spazi per
riscoprire la dignità dell’uomo, il valore della persona umana. In fondo, in altri
termini è quello che Giovanni Paolo II esprimeva con l’evangelizzazione e con l’uomo,
via della Chiesa.
D. – Come si preparano i fedeli al prossimo primo
maggio? Quale è l’atmosfera che si respira già in questi primi giorni?
R.
– Io penso che ci sia un’attesa enorme, a Roma ma anche in Italia e nel mondo, e che
si tratterà di trovare le forme più opportune perché tutta questa gente possa venire
e possa partecipare, così come ha potuto partecipare nelle indimenticabili giornate
dei funerali di Giovanni Paolo II o anche nell’altra grande esperienza delle Giornate
mondiali della gioventù. (gf)