Scontri in Albania: il premier ribadisce la linea dura
Sono 113 le persone arrestate dopo gli scontri violenti di ieri nella capitale albanese,
nei quali hanno perso la vita 3 persone e circa 60 altre sono rimaste ferite fra agenti
e dimostranti. Lo ha annunciato la polizia, secondo la quale “si tratta di manifestanti
coinvolti in atti di violenza”. Da parte sua il primo ministro albanese Sali Berisha
ribadisce oggi la linea dura: “Chiunque cercherà di occupare le istituzioni con la
violenza - dice - avrà la risposta che merita''. Berisha accusa l'opposizione di
aver impiegato nella manifestazione di ieri “criminali, banditi e mercenari”. L’opposizione
chiede le dimissioni immediate del premier Sali Berisha e voto anticipato. La situazione
è preoccupante anche perchè il Paese sta vivendo una forte crisi economica. Eugenio
Bonanata ha intervistato lo scrittore croato Predrag Matvejevic, esperto
di questioni balcaniche:
R. – E’ il
Paese meno sviluppato dell’Europa. Ha inoltre una fortissima emigrazione. Ci sono
poi fenomeni di corruzione, che abbiamo già visto in altri Paesi balcanici, che non
permettono certo un vero sviluppo. Abbiamo assistito così al ritorno di un capitalismo
selvaggio. A tutto questo si chiede una risposta.
D. – Professore, secondo
lei, a che cosa può portare questo processo in Albania?
R. – Bisogna
dire che il nazionalismo rimane dominante. Sicuramente in Albania c’è la tendenza
ad unire l’Albania e il Kosovo; un’altra cosa da tenere presente è che vicino al
Sud della Serbia c’è il Sanjak, una regione abitata dai musulmani e quindi a maggioranza
musulmana. Se questa diagonale islamica radicale si creasse e se un islamismo intervenisse
in questa zona, questo potrebbe diventare un luogo abbastanza pericoloso. Questo potrebbe
poi collegarsi con i bosniaci musulmani, in cui si notano alcune forme di islamismo
che non esistevano prima e che ha tendenza a espandersi. Questo nucleo potrebbe essere
molto pericoloso per l’Europa: Kosovo, Sanjak, Albania e i bosniaci musulmani.
D.
– In queste ore resta sempre tesa la situazione anche in Algeria e Tunisia. Come leggere
questa spinta rivoluzionaria che è comune alle due sponde del Mediterraneo?
R.
– Si potrebbe creare un effetto domino: in Tunisia abbiamo assistito ad una “rivolta
del pane” e questo mi fa tornare alla mente le scene che ha descritto Manzoni sulle
strade di Milano: la gente che cammina e che chiede “pane, pane, pane nostro!”. E
poi l’Algeria, anche lì la rivolta del pane… Siamo di fronte ad una grande crisi sulle
diverse sponde. Questa crisi può arrivare a toccare l’Unione Europea e questo rimette
in gioco il problema delle migrazioni, cui non sappiamo rispondere in questo momento
di crisi.
D. – Servono politiche nuove che guardino a sud?
R.
– Abbiamo visto come questa crisi sia nata dal fatto che la politica non ha spessore
culturale: né negli Stati Uniti, né nell’Europa dell’Est. Qual è la politica culturale
che segue un Paese come la Spagna, come l’Italia, come la Croazia, come la Grecia,
che ha vissuto questa crisi totale? Ma anche Paesi che sono entrati nell’Unione Europea
come la Bulgaria o la Romania, vicini al fallimento … C’’è tanto, tanto da cambiare;
c’è la necessità di creare una cultura politica per trovare una soluzione. La sola
politica – e questo lo abbiamo visto - non ce la fa. Credo che questa componente di
varie culture possa servire e possa mettersi al servizio della ricerca di un nuovo
progetto. (bf)