In Albania arrestati sei ufficiali: avrebbero sparato sulla folla
Nuova giornata di proteste a Tirana, in Albania, dove ieri 3 persone sono morte per
colpi di arma da fuoco e circa 60 sono rimaste ferite. La procura ha ordinato l’arresto
immediato di 6 ufficiali della Guardia Repubblicana accusandoli di omicidio. Il governo
ha promesso il pugno di ferro contro l’opposizione, ma il capo dei socialisti Edi
Rama assicura: torneremo di nuovo in piazza.. Intanto Ue e Osce lanciano un appello
per fermare le violenze. Alessandro Guarasci
La situazione
è preoccupante anche perchè il Paese sta vivendo una forte crisi economica. Eugenio
Bonanata ha intervistato lo scrittore croato Predrag Matvejevic, esperto
di questioni balcaniche:
R. – E’ il Paese
meno sviluppato dell’Europa. Ha inoltre una fortissima emigrazione. Ci sono poi fenomeni
di corruzione, che abbiamo già visto in altri Paesi balcanici, che non permettono
certo un vero sviluppo. Abbiamo assistito così al ritorno di un capitalismo selvaggio.
A tutto questo si chiede una risposta.
D. – Professore, secondo lei, a che
cosa può portare questo processo in Albania?
R. – Bisogna dire che il nazionalismo
rimane dominante. Sicuramente in Albania c’è la tendenza ad unire l’Albania e il Kosovo;
un’altra cosa da tenere presente è che vicino al Sud della Serbia c’è il Sanjak, una
regione abitata dai musulmani e quindi a maggioranza musulmana. Se questa diagonale
islamica radicale si creasse e se un islamismo intervenisse in questa zona, questo
potrebbe diventare un luogo abbastanza pericoloso. Questo potrebbe poi collegarsi
con i bosniaci musulmani, in cui si notano alcune forme di islamismo che non esistevano
prima e che ha tendenza a espandersi. Questo nucleo potrebbe essere molto pericoloso
per l’Europa: Kosovo, Sanjak, Albania e i bosniaci musulmani.
D. – In queste
ore resta sempre tesa la situazione anche in Algeria e Tunisia. Come leggere questa
spinta rivoluzionaria che è comune alle due sponde del Mediterraneo?
R. – Si
potrebbe creare un effetto domino: in Tunisia abbiamo assistito ad una “rivolta del
pane” e questo mi fa tornare alla mente le scene che ha descritto Manzoni sulle strade
di Milano: la gente che cammina e che chiede “pane, pane, pane nostro!”. E poi l’Algeria,
anche lì la rivolta del pane… Siamo di fronte ad una grande crisi sulle diverse sponde.
Questa crisi può arrivare a toccare l’Unione Europea e questo rimette in gioco il
problema delle migrazioni, cui non sappiamo rispondere in questo momento di crisi.
D.
– Servono politiche nuove che guardino a sud?
R. – Abbiamo visto come questa
crisi sia nata dal fatto che la politica non ha spessore culturale: né negli Stati
Uniti, né nell’Europa dell’Est. Qual è la politica culturale che segue un Paese come
la Spagna, come l’Italia, come la Croazia, come la Grecia, che ha vissuto questa crisi
totale? Ma anche Paesi che sono entrati nell’Unione Europea come la Bulgaria o la
Romania, vicini al fallimento … C’’è tanto, tanto da cambiare; c’è la necessità di
creare una cultura politica per trovare una soluzione. La sola politica – e questo
lo abbiamo visto - non ce la fa. Credo che questa componente di varie culture possa
servire e possa mettersi al servizio della ricerca di un nuovo progetto. (bf)