“Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller al Teatro dell'Opera di Roma
E’ andato in scena in prima esecuzione europea al Teatro dell’Opera di Roma, dopo
la prima assoluta avvenuta a Chicago nel 1999, “Uno sguardo dal ponte”, versione operistica
del noto dramma “morale” di Arthur Miller. William Bolcom, musicista raffinato e dalla
grandissima esperienza artistica, rievoca, in una partitura densa di echi pucciniani,
gli ambienti degli immigrati italiani negli anni Cinquanta in America, con le loro
passioni, regole e sofferenze. Repliche fino al 25 gennaio. Il servizio di Luca
Pellegrini.
"Eddie ha
il cuore spezzato. Vivi e lascia vivere Eddie". E' il consiglio pieno di lacrime e
paura che Beatrice regala al marito, la cui mente ormai vacilla, sconvolta da insane
passioni, che non riesce più a sopire, poi a nascondere. Sullo sfondo, altri drammi:
quello dell'immigrazione italiana a New York, della povertà, del sottobosco criminale,
delle illusioni facili, condensate nell’aria cantata da Marco, immigrato illegale,
che diventerà addirittura un assassino per onore: "In America andai su una barca chiamata
Fame...- esclama - Non ti capisco, America!". Frase attinta dal libretto d'opera che
Arnold Weinstein ha tratto dal più noto dramma “morale” di Arthur Miller - coadiuvato
dallo stesso autore - “Uno sguardo dal ponte”, scritto nel 1955. L’allestimento si
avvale prima di tutto di scene imponenti e suggestive di Santo Loquasto, uno spaccato
della Brooklyn povera e italiana, con ampie proiezioni grigie a identificare gli spazi
della città e una sezione sospesa del famosissimo ponte. E assai accurata la regia
di Frank Galati, che afferma: "Scrivere non solo col cuore, ma con la coscienza",
esprimendo così perché un dramma di teatro possa acquisire ancora maggiore dignità
diventando addirittura un'opera lirica. Come artista americano conosce bene Miller
e ne sa interpretare l'alto profilo morale, "perché, appunto, il grande drammaturgo
vede una società con una morale: esistono degli imperativi - spiega - dettati dalla
coscienza e dal profondo senso di responsabilità, di dovere e di consapevolezza di
ciò che è buono o cattivo, giusto o sbagliato". E la storia di Eddi Carbone si addensa
proprio sul trascolorare della sua morale verso la sponda di sentimenti disastrosi,
abbietti, che saranno la sua rovina, anche fisica. Un dramma, spiega ancora il regista,
di "passioni immense" e dunque adattabilissime alla musica e al canto. William Bolcom,
mettendo appunto in musica il libretto, ha capito come un melodramma vada diritto
al nocciolo emozionale, che esplode negli interni di casa Carbone e sui moli newyorkesi.
Forse è un realismo di vecchia data, ma tutti vi si adattano magnificamente, a cominciare
dai solisti, che interpretano le ampie volute musicali anche quando riecheggiano più
gli stili del musical che quelli del melodramma, assecondati dall’Orchestra e dalla
direzione agevole e precisa di David Levi. Esempio che non tutto il contemporaneo
deve necessariamente abdicare alla comprensibilità della forma, a scapito di una sintonia
col pubblico. E testimonianza che l’opera è ancora un genere vivissimo e pieno di
aspettative.