Il Festival delle Scienze parla della “fine del mondo”: intervista con padre Maffeo
della Specola Vaticana
Mito e paura millenaristica, ma anche abili operazioni di marketing: c’è un po’ di
tutto questo dietro l’idea della “fine del mondo”, che di quando in quando torna ad
essere evocata all’interno dell’immaginario collettivo. Da oggi a domenica prossima,
all’Auditorium Parco della musica di Roma, l’argomento è al centro dell’edizione 2011
del Festival delle Scienze, al quale partecipano insigni studiosi di varie discipline.
Scopo del dibattito, valutare se esistano e siano percepibili i segni premonitori
di questo evento, presente in tutte le culture e le religioni, e spesso dipinto con
scenari catastrofistici. Partendo da ciò che sulla questione dice la scienza astronomica,
Alessandro De Carolis ne ha parlato con il padre gesuita Sabino Maffeo,
della Specola Vaticana:
R. – La scienza
degli astri intanto dice che il Sistema solare certamente non è eterno. Si sa che
il Sole ha vissuto già quattro, cinque miliardi di anni e che ha la possibilità di
continuare ancora in questo modo, come ha fatto fino ad ora, per altri quattro o cinque
miliardi di anni: soltanto allora avverrà che il Sole si dilaterà e invaderà tutto
l’ambito del Sistema Solare, la Terra sarà inghiottita e quindi sarà finita. E’ una
cosa molto lontana ma - direi - abbastanza certa.
D. – Stando più vicini
a noi, al pianeta Terra, ma anche al nostro tempo, immaginare la fine di ciò che vive
sul pianeta può non significare per forza ricercarne la causa in un evento extra terrestre
...
R. – Certamente, sappiamo che circa 65 milioni di anni fa, un corpo
estraneo cadde sulla Terra e produsse uno sconvolgimento per cui i paleontologi attribuiscono
a questo evento la scomparsa dei grandi animali, dei dinosauri. Come è avvenuto per
quel caso, dunque, nessuno può dire se, fra chissà quanti milioni di anni, possa avvenire
qualcosa del genere: è del tutto aleatorio. Se prevarrà poi nell'umanità l’egoismo
piuttosto che la ricerca del bene comune, potrebbe succedere su scala planetaria ciò
che succede nei singoli Paesi, dove si producono guerre e disastri proprio per questo
motivo.
D. – L’uso della tecnologia può, e già lo fa in diversi casi,
aiutare l’uomo a prevenire catastrofi potenzialmente letali. Si può pensare però ad
una catastrofe "tecnologica", più che naturale, come causa della fine del mondo e,
dunque, come motivo di riflessione sulle responsabilità dell’uomo?
R.
– Piccole catastrofi ci sono e dipendono non dalla tecnologia, ma dal non aver usato
la tecnologia che bisognava applicare. Penso ai terremoti, alle case che crollano
per il fatto che sono stati costruiti edifici senza tenere conto delle norme antisismiche.
Penso anche alle alluvioni, alle masse di terra che rotolano a valle distruggendo
città intere: è tutta una mancanza di attenzione e di non applicazione della giusta
tecnologia. O altrimenti, lo si deve alla costruzione di case dove non avrebbero dovuto
essere costruite, ignorando la tecnologia odierna che invece ci fa prevedere che possano
avvenire disastri di questo genere. Non è la tecnologia che dà luogo alle catastrofi,
ma è l’insipienza dell’uomo quando non la applica come si deve.
D. –
In lei, padre, coabitano - per così dire - le ragioni della scienza e quelle della
fede. Queste ultime, in particolare, cosa ci dicono sulla fine del mondo?
R.
– Per quanto riguarda la fede, direi che questa mi aiuta maggiormente a pensare alla
fine del mondo che non la scienza. Ci sarà un giorno in cui l’umanità arriverà alla
fine e sarà giudicata da Dio. La fede aiuta di più della scienza a tenere presente
che un giorno questa umanità finirà; non so se finirà anche il mondo. C’è una parola
del Signore che dice che questa fine verrà, ma non ci dice quando, e che i giorni
saranno abbreviati in considerazione dei giusti: ci potremo trovare, quindi, in situazioni
talmente gravi, tristi, penose e violente che la misericordia di Dio potrebbe abbreviare
quei tempi per l’intercessione dei giusti, di quelli che si sono comportati in concordanza
con i comandamenti del Signore. (ap)