Iraq e Afghanistan: non si ferma la catena di attentati e violenze
Nuovi attentati in Iraq e in Afghanistan che confermano la loro natura di scenari
di guerra ancora estremamente attivi. Stamani due attentati a nord di Baghdad hanno
provocato 15 vittime, mentre è salito a 65 morti il bilancio delle vittime di ieri
a Tikrit. Stessa situazione in Afghanistan, dove dopo l’assalto alla base italiana
di Bala Murghab costato la vita a un militare italiano stamattina una mina ha provocato
la morte di 13 civili. E i governi occidentali s’interrogano sempre più di frequente
sull’utilità di mantenere i propri contingenti militari in questi Paesi ancora così
lontani dalla democrazia. Sulle ragioni di questa mancanza di sicurezza Stefano
Leszczynski ha intervistato Loretta Napoleoni, esperta di terrorismo.
R. - Io credo
che il problema fondamentale stia nel fatto che le forze di coalizione non sono riuscite
a guadagnare la fiducia di gran parte della popolazione e quindi vengono ancora percepite
come un esercito di occupazione. Chiaramente, questo crea tensioni all’interno della
società, che vengono ampiamente sfruttate da chi porta avanti un discorso di radicalizzazione.
In più, i nuovi governi che sono stati introdotti da questi Paesi dopo il cosiddetto
processo di liberazione, sono in realtà dei governi estremamente corrotti.
D.
– Come mai l’Occidente non ha saputo individuare personaggi validi, che potessero
prendere il controllo in maniera salda sia in Iraq sia in Afghanistan?
R.
– Questo non è avvenuto perché sono stati presi individui sicuramente di dubbia moralità
e di dubbia etica, che vivevano negli Stati Uniti come Chalabi, per quanto riguarda
l’Iraq inizialmente, e Karzai, per quanto riguarda l’Afghanistan – e sono stati messi
a capo di questi nuovi governi: le conseguenze le vediamo oggigiorno.
D.
– Conflitti così lunghi, con un così alto numero di vittime, fiaccano le opinioni
pubbliche dei Paesi occidentali che iniziano a premere, a pensare sempre più ad un
ritiro ...
R. – Le conseguenze, secondo me, sono disastrose. Penso che
un ritiro dall’Afghanistan creerebbe anche dei grossi problemi in Pakistan, dove la
situazione, come ben sappiamo, non è assolutamente tranquilla. Il Pakistan potrebbe
diventare uno Stato perduto, come è successo in altri Paesi, in conseguenza proprio
del ritiro delle truppe nel Paese limitrofo, l’Afghanistan. Nello stesso tempo, però,
mantenere le truppe, e cioè continuare con questa strategia, non porta ad una situazione
migliore e tanto meno non porta alla democrazia. Quindi, io penso che ci voglia un
ripensamento ed un cambiamento radicale di strategia e di politica estera non solo
da parte degli Stati Uniti, ma di tutti i Paesi che fanno parte della coalizione,
per poter portare la democrazia – quella vera – all’interno di un Paese come l’Afghanistan
o l’Iraq. Questo, però, comporta un impegno decennale. (ap)