Benedetto XVI ai genitori che hanno perso figli: la sofferenza si trasformi in speranza
con l'aiuto di Maria
Al termine dell’udienza generale il Papa ha salutato i membri dell’Associazione “Figli
in paradiso: ali tra cielo e terra”, che riunisce i genitori colpiti dalla morte,
spesso tragica, dei figli. Ce ne parla Sergio Centofanti.
Il saluto
del Papa all’Associazione è affettuoso, forte l’invito ai genitori:
“Non
lasciatevi vincere dalla disperazione o dall’abbattimento, ma trasformate la vostra
sofferenza in speranza, come Maria ai piedi della Croce”.
Calda
la raccomandazione ai giovani:
“Nell’esuberanza dei vostri anni giovanili,
non mancate di calcolare i rischi e agite in ogni momento con prudenza e senso di
responsabilità, specialmente quando siete alla guida di un autoveicolo, a tutela della
vostra vita e di quella altrui”.
Il Papa incoraggia i sacerdoti
che accompagnano spiritualmente le famiglie colpite dalla perdita di figli a proseguire
generosamente in questo importante servizio. Quindi, assicura una speciale preghiera
di suffragio per tutti i giovani che hanno perso la vita:
“Sentite
accanto a voi la loro spirituale presenza: essi, come voi dite, sono ‘ali tra cielo
e terra’”.
L’Associazione “Figli in Paradiso” è stata fondata dal
padre francescano Angelo De Padova, a partire da una dolorosa
esperienza personale: la morte improvvisa del fratello. Ascoltiamo padre Angelo al
microfono di Rosario Tronnolone:
R. – Vedendo i
miei genitori distruggersi, dividersi, non reagire più mi sono detto: “Qualcosa bisogna
fare!”. E così, pian piano ho iniziato a celebrare la Messa per due giovani ragazze
morte in un incidente, nel 2004. Vedevo le mamme distrutte e dissi: preghiamo insieme
ogni mese per queste vostre figlie. Pian piano ho visto la chiesa riempirsi di altre
mamme che cercavano un punto di riferimento nella fede, nella preghiera. E così, in
sei anni abbiamo creato 20 gruppi in 20 Paesi in cui i parroci sono impegnati a celebrare
la Messa per i ragazzi, e molti gruppi fanno anche il cammino di mutuo-aiuto per l’elaborazione
del lutto. Oltre alla fede c’è bisogno anche di un luogo, dove esprimere i sentimenti,
le emozioni … Alle persone in lutto a volte si dice: “non ti preoccupare, vai avanti,
fatti coraggio, hai altri figli, so come ti senti”. Ma le mamme soffrono a sentire
queste frasi, perché non sono vere, sono frasi di circostanza, sono frasi fatte. E
allora abbiamo creato questi gruppi dove le mamme si sentono accolte e non giudicate
da nessuno. Non più “poveretta, poverina”, ma in uno stesso luogo, lo stesso dolore
trasformarlo poi in amore.
D. – Come si trasforma questo dolore in qualcosa
di positivo?
R. - Attraverso opere di carità, attraverso progetti di
missioni all’estero, costruzioni di scuole materne in Africa, adozioni a distanza
oppure volontariato nella Caritas, nel catechismo … Occorre investire il dolore in
qualcosa di positivo, e questo grande dolore – prima o poi – avrà il suo frutto. Io
sono anche cappellano in un ospedale. Quando c’è un intervento chirurgico, c’è sempre
il drenaggio per fare uscire tutto quello che c’è di “brutto” dentro; se non c’è il
drenaggio, arriva l’infezione. Così è anche per il dolore: se non si fa uscire, il
dolore, ci si ammala nella mente, nel corpo, nella psiche. Si ammala tutta la famiglia,
perché poi il papà e la mamma si chiudono, gli altri fratelli dicono: “non ho perso
soltanto un fratello, ho perso anche una mamma e un papà, non mi pensano più, non
mi parlano più, non cucinano più” … e così si ammala la famiglia e si ammala la società,
pian piano, perché la famiglia è la cellula fondamentale della società. Quindi, con
la preghiera e con i gruppi di mutuo aiuto cerchiamo di sanare questa grave ferita.
Da una ferita può sempre nascere qualcosa di positivo. Nelle strutture vecchie, antiche,
dalle crepe nei muri esce sempre un filo d’erba: così anche nella morte di un figlio
dobbiamo trovare il positivo. E’ difficile, ma è possibile: attraverso Gesù e attraverso
un cammino di comunione tra di noi. (gf)