Leader cristiani e musulmani riuniti a Baghdad contro le violenze religiose in Iraq
“La comunità irachena è un corpo unico”: all'ondata di violenze perpetrata dagli estremisti
islamici, leader cristiani e musulmani rispondono con un'unica voce, esprimendo la
volontà di fare fronte comune contro i tentativi di sradicare dal territorio dell'Iraq
la presenza delle minoranze. In un incontro – di cui riferisce L’Osservatore Romano
- dal titolo “Il dialogo delle religioni”, i rappresentanti del Sunni endowment e
del Christian endowment in Iraq, Ahmed Abdul Ghafour al-Samarrai e Abdullah al-Naftali,
hanno affermato con forza che gli attentati e le altre forme di attacchi non saranno
capaci di dividere la nazione usando come pretesto la religione. Si è trattato del
primo incontro tra i due organismi, che ha avuto luogo la scorsa settimana presso
la moschea di Um al-Qura. Nel Paese sono ancora aperte le ferite per l'attentato compiuto
ai danni della chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, a Baghdad,
lo scorso ottobre, e per quelli più recenti avvenuti a fine anno contro le abitazioni
di cristiani in diversi quartieri della capitale. “La comunità irachena - ha sottolineato
Ahmed Abdul Ghafour al-Samarrai - è un corpo unico”. La serie degli ultimi attacchi
è stata rivendicata dal cosiddetto “Stato islamico iracheno”, che ha intimato ai cristiani
di lasciare il Paese. Anche il presidente sunnita del Parlamento iracheno, Osama al-
Nujaifi, ha ribadito recentemente la linea della fermezza e dell'unità: “Non consentiremo
nessun tentativo di attentare alla coesione del popolo iracheno. I cristiani sono
una componente fondamentale della nostra società e le loro sofferenze sono quelle
dell'intero popolo”. Da parte sua, il rappresentante del Christian endowment, Abdullah
al-Naftali, ha voluto porre l'accento sul contributo alla costruzione della pace che
da sempre caratterizza l'impegno della comunità cristiana: “I cristiani in Iraq non
sono nemici di nessuno e mai alcuno ha alzato le armi e ha mai combattuto per costringere
i musulmani ad abbandonare le loro case”. In particolare, il leader cristiano si è
voluto riferire all'esodo delle famiglie cristiane verso altri luoghi in Iraq considerati
più sicuri o addirittura in altri Paesi, come la Giordania o la Siria. Un migliaio
di nuclei familiari - secondo le stime delle Nazioni Unite - si sono diretti verso
il nord dell'Iraq a seguito dell'attentato alla chiesa siro-cattolica di Nostra Signora
del Perpetuo Soccorso. La difficile situazione dei profughi era stata, lo scorso novembre,
al centro di un incontro dei vescovi caldei dell'Iraq che avevano chiesto una fatwa
alle autorità religiose musulmane “per aiutare a chiarire che le violenze contro i
cristiani sono illegittime e contrarie ai principi della religione islamica”. La richiesta
era stata accompagnata anche dall'appello ai cristiani a non fuggire dall'Iraq. In
un altro intervento, l'arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, Louis Sako, ha evidenziato
che “nel Vicino Oriente i cristiani vivono come cittadini autentici, leali alla loro
patria e fedeli a tutti i loro doveri ed è naturale che essi possano godere di tutti
i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto e anche di libertà nel
campo dell'educazione e nell'uso dei mezzi di comunicazione”. (R.G.)