2011-01-16 13:41:27

I figli al centro della risoluzione delle crisi familiari, tema di confronto in un convegno a Roma


Ogni anno in Italia 84 mila separazioni e 53 mila divorzi coinvolgono 150 mila bambini, spesso posti al centro di scontri tra padre e madre e vittime dell’allontanamento di un genitore ad opera di quello affidatario. Questi minori rischiano di sviluppare disturbi psicologici, comportamentali, alimentari, di dipendenza o autolesionismo, che in una parola sono riassunti nella sigla Pas, la “Sindrome da alienazione parentale”. Se ne è parlato nei giorni scorsi a Roma in un convegno promosso dall’Associazione avvocati matrimonialisti italiani. “Nella risoluzione di crisi familiari occorre dare centralità ai figli”, ha commentato l’avvocato matrimonialista, Anna Maria Panfìli. Paolo Ondarza l’ha intervistata:RealAudioMP3

R. – Nell’ambito dei procedimenti è molto importante dare davvero – quello che la legge dice – un valore preminente all’interesse dei figli. Questo si può fare se collaborano tutti gli operatori: gli avvocati, i giudici e anche le parti che sono in lite. Poi c’è un aspetto culturale, che è quello che impone di capire che i bambini, all’interno della separazione, soffrono e soffrono tanto. Dire loro che sono molti i bambini che hanno i genitori separati non basta, li fa sentire fuori posto e, a volte, in colpa, perché fa dire loro: “Sto male! Perché sto così male?”

D. – Gli psichiatri e gli psicologi spiegano che i bambini, vittime di scontri tra genitori, rischiano di sviluppare seri disturbi psicologici comportamentali, alimentari o addirittura di dipendenza...

R. – Sì, è certamente il frutto dell’incapacità degli adulti di dare una soggettività al bambino. Quando il bambino diventa lo strumento di un genitore per fare lotta all’altro è evidente che perde la sua identità.

D. – Sicuramente, il contesto che circonda la coppia intenzionata a divorziare o a separarsi non aiuta i bambini coinvolti...

R. – Sì, la nostra è una civiltà molto contraddittoria, perché da un lato si moltiplicano le carte dei diritti del bambino, dall’altra, però, ancora non è cresciuta la sensibilità generale che afferma che il bambino è una persona in relazione con la sua famiglia, che ha un’identità dipendente dalle sue relazioni familiari. Tutto questo deve diventare un lavoro di approfondimento da sviluppare in tutti gli ambiti: ad esempio, nella formazione degli operatori che si occupano del conflitto familiare e, quindi, anche nella formazione degli avvocati e dei magistrati minorili.

D. – Nell’ultimo ventennio, sono state 84 mila le separazioni e 53 mila i divorzi ogni anno: un dato che non può lasciare indifferenti. Ma quanto si fa per sostenere le coppie con figli in difficoltà?

R. – Poco, sempre troppo poco… Io non vedo, ad esempio, lavoro di sostegno per una possibile riconciliazione. Questa è davvero una grandissima carenza del nostro sistema. E’ vero che c’è il tentativo obbligatorio di conciliazione in tutte le separazioni, ma chi lavora in questo ambito sa benissimo che è una formalità. E’ anche vero che c’è l’offerta sul territorio di questo servizio di mediazione, che dovrebbe prevenire la crisi familiare, ma non è pubblicizzato, e oggi è più rivolto a contenere il conflitto una volta che è esploso. Credo che occorra una più capillare distribuzione del servizio di sostegno alle funzioni genitoriali e alla coppia, e anche una più diffusa chiarezza sul valore del matrimonio e della stabilità delle relazioni, perché oggi è il contrario quello che ci viene proposto: e cioè che liberarsi della persona con cui ci si è sposati è cosa buona. Non voglio dire che non ci siano delle situazioni davvero drammatiche, che non si possono più ricomporre, ma molte delle situazioni sarebbero contenibili se fossero prese in tempo.(ap)







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