2011-01-16 15:29:14

Ancora tensione e scontri in Tunisia dopo la fuga del presidente Ben Ali


Ancora tensione in Tunisia dopo i disordini di ieri. La scorsa notte, nonostante il coprifuoco, ci sono stati saccheggi e alcuni episodi di violenza con un numero di vittime difficile da confermare. A livello politico proseguono le consultazioni in vista della formazione di un nuovo esecutivo, mentre oggi è stata indetta una nuova manifestazione di piazza a Tunisi per chiedere lo scioglimento del partito al potere dell’ex presidente Ben Ali, fuggito venerdì in Arabia Saudita. Il servizio di Eugenio Bonanata:RealAudioMP3

Le agenzie internazionali segnalano la ripresa di scontri nel centro di Tunisi. Uomini armati hanno aperto il fuoco provocando la morte di almeno una persona. Alcune unità dell’esercito hanno circondato la sede del Ministero dell’interno, mentre l’ex titolare del dicastero è stato arrestato per aver dato l’ordine di sparare contro i manifestanti nei giorni scorsi. Per gli stessi motivi l’ex capo della sicurezza, già arrestato, sarà processato per incitamento alla violenza e minaccia alla sicurezza nazionale. Secondo l’emittente televisiva araba al-Jazeera sono tre mila i poliziotti arrestati fino ad ora per la loro vicinanza alla deposta leadership. Ci sarebbero loro dietro i numerosi saccheggi ai danni di negozi e di abitazioni civili, avvenuti la notte scorsa a causa della penuria di cibo che comincia a farsi sentire in città e nonostante il coprifuoco. Coprifuoco, che, a partire da oggi, sarà ridotto di un’ora. Lo hanno deciso le autorità a fronte di quello che considerano “il miglioramento della situazione”, pur lasciando inalterate le altre misure di sicurezza come il divieto di assembramenti per le strade. Sempre nella notte è avvenuta l’uccisione di un parente dell’ex presidente, mentre in un ospedale di Tunisi è deceduto il fotografo francese colpito da un lacrimogeno durante le dimostrazioni di venerdì. Folla, intanto, negli aeroporti: numerose, infatti, le persone che attendono di lasciare il Paese con i primi voli dopo la revoca del blocco dello spazio aereo. A livello politico il neo premier incaricato Ghannnouci prosegue i colloqui con le forze di opposizione in vista della creazione di un governo di unità nazionale. L’obiettivo è anche quello di indire nuove elezioni, che, secondo le prime dichiarazioni, potrebbero svolgersi nel giro di una sessantina di giorni. Questo lo scenario caldeggiato dalla Comunità internazionale, mentre oggi l’Iran ha messo in guardia la Tunisia dalle ingerenze di Unione Europea e Stati Uniti. Ieri, invece, ad esprimere appoggio al presidente deposto Ben Ali è stato il leader libico Gheddafi.

Sulla situazione politica in Tunisia e sul ruolo dei partiti di opposizione in questo momento di transizione, abbiamo intervistato Domenico Quirico, esperto di questioni africane per il quotidiano "La Stampa", raggiunto telefonicamente a Tunisi: RealAudioMP3

R. – I cosiddetti partiti di opposizione che erano presenti, legalizzati e consentiti in questo Paese negli ultimi 20 anni, non rappresentano nulla. E non rappresentano nulla perché erano delle formazioni – diciamo – “fantoccio”, al servizio – pagate e stipendiate - dal regime di Ben Alì. Un governo di unità nazionale con queste forze e con queste sigle, che sono assolutamente vuote e fatte di personaggi largamente frammisti a quello che il regime faceva, non ha senso. Le forze di opposizione vere esistono, ma sono in esilio o si tratta di gente che è stata in carcere: nessuno li conosce, perché sui giornali nessuno ovviamente parlava di loro, se non come banditi, fuggiaschi o peggio; non hanno soldi, non hanno strutture. L’organizzazione di un governo di unità nazionale con quello che c’è qui oggi, non dà alcuna garanzia.

D. – Si parla del possibile ritorno sulla scena politica di forze islamiche e in qualche modo estremiste: in questo quadro è possibile confermare questo timore?

R. – Se le cose non verranno organizzate rapidamente e se non si daranno dei segni tangibili alla gente che è andata in strada, che si è fatta ammazzare in questi giorni, il movimento islamico potrebbe seguire il modello algerino e potrebbe diventare veramente una forza predominante. Il pericolo islamista in questo Paese non esiste e non esiste non perché Ben Alì li ha massacrati, ma perché semplicemente l’islamismo locale era molto laicizzato e largamente minoritario. Diciamo che in una previsione assai, assai pessimistica in caso di elezioni vere, potrebbe totalizzare al massimo un 20 per cento: la percentuale di un partito islamico. Però – ripeto – nella delusione che può venire dopo aver cacciato Ben Alì, gli islamisti potrebbero trovare uno spazio assai più largo.

D. – Il processo rivoluzionario in Tunisia è cominciato da un giovane disoccupato che si è dato fuoco: cosa dire della giovane generazione, del suo rapporto con Internet e del suo livello di istruzione?

R. – Questa è una rivoluzione che è stata fatto solo dai giovani. In una certa misura il regime passato ha pagato l’unica cosa buona che ha fatto: aver assicurato una scolarizzazione di massa e aver spinto le famiglie e i giovani stessi a vedere nella laurea il segno del loro successo sociale. Successo sociale che poi, però, non si traduceva in posti di lavoro! L’impressione è che adesso ci sia una nuova leva giovanile, che si è impadronita del movimento e che è molto più arrabbiata di quella che lo ha iniziato, perché vuole tutto e subito. Se non la si accontenta subito, se non le si danno dei segni concreti che qualcosa è cambiato, allora prenderà altre vie, che sono quelle della violenza, dell’anarchia e – forse – dell’islamismo. (mg)

Egitto
Il tribunale egiziano di Qena ha condannato a morte uno degli autori della strage di cristiani copti del 6 gennaio del 2010. In quell'occasione, sei fedeli rimasero uccisi in una sparatoria all'uscita di una chiesa di Nagaa Hamadi, dove avevano appena partecipato alla Messa del Natale copto. Soddisfazione da parte degli avvocati delle famiglie, anche se si sono detti preoccupati per il rinvio della sentenza a febbraio per gli altri due complici della strage.

Costa d’avorio
Prosegue la mediazione dell’Unione Africana per risolvere la crisi politica in Costa d’Avorio dopo il contestato ballottaggio presidenziale del 28 novembre scorso. Per oggi è atteso l’arrivo del kenyota Odinga per un nuovo round di colloqui con il presidente uscente Gbagbo e il vincitore delle elezioni presidenziali Ouattara. Intanto è stato prolungato il coprifuoco notturno fino a sabato 22 gennaio.

Sudan
Si sono chiuse ieri le operazioni di voto per il referendum sull'indipendenza del Sud Sudan, animista e cristiano, dal nord a maggioranza arabo-musulmana. Dal 9 al 15 gennaio, hanno votato per il referendum sulla secessione da Khartoum circa il 90% dei circa 4 milioni di aventi diritto al voto, secondo quanto riferito dall'ex presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, capo della delegazione degli osservatori internazionali. Da giorni era stato ormai superato il quorum del 60%, necessario perchè la consultazione avesse valore. La maggior parte dei votanti, ha aggiunto Carter in una conferenza stampa, avrebbero detto di essere favorevoli alla secessione. Per avere i risultati ufficiali servirà però aspettare alcune settimane. Secondo quanto indicato dalla commissione del referendum i dati complessivi saranno comunicati il 7 febbraio.

Medio Oriente
Lo Stato israeliano sta per approvare la costruzione di altre 1400 case a Gerusalemme est, malgrado gli appelli della comunità internazionale per un nuovo congelamento degli insediamenti. Il progetto, secondo la stampa isrealiana, sarà approvato nei prossimi giorni e prevede la costruzione di abitazioni a Gilo, uno dei più grandi insediamenti israeliani alla periferia di Gerusalemme, vicino alla città di Betlemme, in Cisgiordania. Dura la reazione del capo negoziatore palestinese, Saeb Erakat, che ha "condannato fermamente" la decisione israeliana. I palestinesi giudicano essenziale per la ripresa dei colloqui il congelamento della costruzione di case nei Territori occupati in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

Iran nucleare
Israele avrebbe compiuto un attacco informatico per rallentare il controverso programma nucleare iraniano. Lo sostiene il "New York Times", secondo cui, con l'aiuto dell'intelligence Usa, lo Stato ebraico ha creato un virus informatico che si ritiene abbia sabotato le centrifughe nucleari di Teheran. Il quotidiano americano sostiene che i test del virus informatico sono stati condotti durante "gli ultimi due anni" nella super-protetta centrale nucleare israeliana di Dimona, nel deserto del Neghev.

Libano
È attesa per domani la consegna al Tribunale Speciale per il Libano degli atti di accusa nei confronti dei presunti mandanti ed esecutori dell'uccisione, sei anni fa a Beirut, dell'ex premier libanese Rafiq Hariri. Secondo le indiscrezioni della stampa i fascicoli del procuratore, Daniel Bellemare, puntano il dito su esponenti del movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah. E proprio in vista della consegna delle accuse alla Corte internazionale che ha sede in Olanda, il leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah, terrà questa sera un discorso televisivo alla nazione, dopo che mercoledì scorso ha provocato la caduta del governo Hariri facendo dimettere in totale 11 ministri del “Partito di Dio”, perché il premier - che ha ottenuto un nuovo incarico dal presidente Michel Suleiman - non aveva preso le distanze dal Tribunale speciale Internazionale.

Afghanistan
Nuova strage di civili in Afghanistan. Nove persone, tra cui sei donne e un bambino, che si recavano a una festa di nozze, sono rimaste uccise nell'esplosione di una bomba artigianale posta ai bordi di una strada, nella provincia di Bachlan, nel nord Paese. Lo ha reso noto un responsabile della polizia locale. Poche ore prima, in un episodio analoga nella provincia meridionale dell'Helmand, erano morti sei civili che erano a bordo di un pulmino saltato su una mina.

Brasile - emergenza alluvioni
È salito a quasi 600 morti il bilancio delle alluvioni che hanno colpito lo Stato brasiliano di Rio de Janeiro. Le autorità locali, che non sono ancora riuscite a fornire il numero esatto dei dispersi, hanno rivolto un appello urgente a donare sangue, cibo e medicine per le circa 14mila persone che sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Drammatica anche la situazione sanitaria per via delle centinaia di cadaveri estratti dal fango o ancora sepolti dalle macerie. Si temono epidemie e intossicazioni, per mancanza di acqua potabile e cibi avariati. In particolare, l’acqua infetta potrebbe creare l'ambiente ideale per la proliferazione delle zanzare portatrici della febbre dengue. (Panoramica internazionale a cura di Eugenio Bonanata e Marco Guerra)

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 16







All the contents on this site are copyrighted ©.