In Italia con il 54,1% di sì, i lavoratori dello stabilimento Fiat di Mirafiori hanno
approvato l’accordo siglato lo scorso 23 dicembre tra azienda e sindacati metalmeccanici.
Ad eccezione della Fiom-Cgil, che rifiuta tuttora qualsiasi firma tecnica, chiede
di riaprire la trattativa sulla rappresentanza e si prepara allo sciopero generale.
Per l’Amministratore delegato Marchionne la scelta è storica e non intacca i diritti
dei lavoratori. Il governo, col ministro Sacconi, parla di una nuova fase nelle relazioni
industriali e richiama l’azienda agli impegni presi. Per il Pd il risultato va rispettato
ma anche il disagio dei lavoratori. Il servizio di Giampiero Guadagni:
Lo scrutinio,
terminato soltanto all’alba, ha registrato, a lungo, un vero e proprio testa a testa.
Decisivo si è rivelato il massiccio consenso degli impiegati, mentre nei reparti del
montaggio la maggioranza si è espressa per il “no”. Altro dato significativo è l’altissima
affluenza ai seggi. Ha votato infatti il 96 per cento: 5218 lavoratori su 5431 aventi
diritto. “Una decisione sofferta: hanno vinto le ragioni del lavoro”, è il primo commento
dei leader di Cisl e Uil, che - assicurano - saranno tutelati anche coloro che hanno
votato contro. L’accordo per Mirafiori, che compreso l’indotto riguarda 70 mila dipendenti
Fiat, ha lacerato i rapporti tra sindacati, con i metalmeccanici della Cgil in prima
linea contro il piano Marchionne, piano che prevede dal prossimo anno la produzione
Mirafiori di Suv per i marchi Gip e Alfa Romeo. Tra i punti principali dell’accordo:
lotta all’assenteismo, aumento dei turni settimanali, riduzione delle pause, incrementi
di salari, grazie soprattutto alle maggiorazioni per il turno di notte.
Per
un commento sull’esito del referendum, al microfono di Gabriella Ceraso, Michel
Martone, ordinario di diritto del lavoro alla Luiss di Roma:
R. - Si tratta
di un risultato sofferto ma importante, perché l’industria automobilistica adesso
ha un futuro nel nostro Paese, un futuro di rilancio, di investimenti. Il sindacato,
ora, è di fronte ad una nuova, straordinaria sfida: esigere che la Fiat e Marchionne
rispettino gli impegni che hanno preso con quest’accordo per mantenere l’industria
automobilistica nel nostro Paese. I lavoratori se lo meritano. Se lo meritano perché
sono andati a votare, dando una prova importante di democrazia e perché hanno accettato
un regime di lavoro che è particolarmente faticoso e per il quale si impegneranno.
D.
- I decenni di lotte sindacali e di conquiste per i diritti dei lavoratori sono compromessi?
R.
- Non c’è lesione dei diritti riconosciuti dalle leggi. C’è modifica delle tutele,
cioè qual è la disciplina delle pause. Allo stesso modo, rispetto ai turni orari,
la modifica dei turni è probabilmente la misura più problematica, perché quando vengono
cambiati i turni ad un lavoratore questi deve riorganizzare la propria vita, ma la
maggioranza dei lavoratori ha accettato tutto questo. La modifica, quindi, è in ordine
alle tutele e non è una riduzione dei diritti. Un punto importante da dire, però,
è che questi maggiori sacrifici da parte dei lavoratori sono sacrifici che vengono
remunerati e che l’alternativa, se avesse vinto il fronte del “no”, sarebbe stata
ben più drammatica.
D. - A livello di rappresentatività, tutele perse
o acquisite?
R. - Tutele perse a cominciare dalla Fiom. Marchionne è
tornato alla tutela base, che è lo Statuto dei lavoratori. Statuto che la stessa Fiom,
non più di qualche mese fa, considerava una legge fondamentale ed intoccabile e che
invece, oggi, l’ha portata in questa paradossale situazione: essersi opposta ad un
accordo in nome della rappresentanza della classe operaia ed essere però finita fuori
dai cancelli, lontana dai lavoratori.
D. - Quali margini di discussione
ci sono sotto questo punto di vista?
R. - Oggi la palla torna alle parti
sociali. Adesso dobbiamo trovare un nuovo sistema di regole, che non venga imposto
dal Parlamento - attraverso una legge che richiederebbe anni e che non è arrivata
già nei precedenti 60 anni - ma venga invece trovato tra i sindacati, attraverso un
accordo interconfederale. Un primo esempio potrebbe essere, come avevano già concordato
Cgil, Cisl e Uil prima del veto della Fiom, dalla bozza del 2008, che prevedeva di
importare le regole della democrazia sindacale prevista nel pubblico impiego all’interno
dell’impiego privato. Anche alla luce dei risultati sarebbe importante ripartire da
quella bozza per indicare un sistema di regole che sia condiviso da tutti e che venga
accettato da tutti.
D. - Si è votato secondo lei anche sulla scorta
della paura?
R. - Certo. La verità di questa vicenda è che dimostra
la situazione nella quale noi ci troviamo. Purtroppo la pressione globale, il nostro
grande debito pubblico e le difficoltà economiche nelle quali versa il nostro Paese,
sono state scaricate sui lavoratori italiani.
D. - Ci sono dei doveri
di responsabilità sociali anche verso il territorio oltre che doveri di responsabilità
di rappresentanza cui la Fiat, da oggi in poi, va richiamata?
R. - Assolutamente.
Sono doveri di responsabilità, anzitutto fare tutto quello che è necessario per rilanciare
quest’azienda. Lo deve in primis ai lavoratori che hanno firmato per il “sì”, poi
a quelli che hanno votato per il “no”, lo deve nei confronti del Paese e del territorio.
D.
- E’ anche vero che sta solo alla sua coscienza, perché a livello di implicazioni
industriali ormai è completamente autonomo…
R. - Sta solo alla sua coscienza,
ma allora non avrebbe avuto senso fare tutta questa battaglia. Il punto, ora, è che
venga controllata. Sono sicuro che da questo punto di vista anche il governo vigilerà,
i sindacati vigileranno. (vv)