2011-01-14 17:28:43

L'appello rivolto dai vescovi africani al Continente: Africa, alzati!


In questo periodo caratterizzato per l'Africa da importanti appuntamenti elettorali, la Radio Vaticana vuole dedicare l’Editoriale della sua finestra informativa sul Continente al tema della DEMOCRAZIA.
Nella prima parte dell’Editoriale riportiamo le indicazioni contenute nel Messaggio Finale dell’ultima Assemblea del Sinodo dei vescovi africani, che si è tenuta in Vaticano nell’ottobre 2009.
Nella seconda parte si articolano invece alcune questioni centrali del dibattito contemporaneo sulla politica africana, riproposti in un'intervista con il politologo mozambicano Severino Elias Nguenha raccolta da Filomeno Lopes, redattore del programma portoghese per l’Africa della Radio Vaticana.

Dal Messaggio Finale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa (23 ottobre 2009):

“AFRICA, ALZATI!”
Si dice che la culla del genere umano si trovi in Africa. Il nostro continente ha una lunga storia di grandi imperi e di civiltà illustri. La storia futura del continente deve essere ancora scritta. Dio ci ha benedetto con ampie risorse naturali ed umane.(...)
Ci sono stati gravi atti di ingiustizia storica, come la tratta degli schiavi ed il colonialismo, le cui conseguenze negative ancora persistono. Ma queste non sono più scuse per non muoverci in avanti. Di fatto molte cose stanno accadendo. Lodiamo gli sforzi per liberare l’Africa dall’alienazione culturale e dalla schiavitù politica. Ora l’Africa deve affrontare la sfida di dare ai propri figli un degno livello di condizioni di vita.
(...)
Il Sinodo loda questi sforzi poiché questi programmi collegano chiaramente l’emancipazione economica dell’Africa con l’insediamento di un buon governo. Purtroppo qui sta il punto di stallo…Ci attendiamo perciò un miglioramento generale del buon governo in Africa.
(...)
Il Sinodo nota con tristezza che la situazione in parecchi paesi resta molto vergognosa. Pensiamo in particolare alla triste situazione della Somalia, immersa in un conflitto virulento da quasi due decenni che coinvolge già i paesi vicini. Non dimentichiamo la tragica condizione di milioni di persone nella regione dei Grandi Laghi e la crisi che ancora perdura nell'Uganda settentrionale, nel Sudan meridionale, nel Darfur, in Guinea Conakry ed in altri luoghi. Coloro che controllano le sorti di queste nazioni devono assumersi piena responsabilità per il loro deplorevole comportamento. Nella maggior parte dei casi, abbiamo a che fare con avidità di potere e di ricchezza a spese della popolazione e della nazione. Qualunque sia l’incidenza di interessi stranieri, c'è sempre la vergognosa e tragica collusione dei leader locali: politici che tradiscono e svendono le loro nazioni, uomini d’affari corrotti che sono in collusione con multinazionali rapaci, commercianti e trafficanti di armi africani, che fanno fortuna con il commercio di piccole armi che causano grande distruzione di vite umane, e agenti locali di alcune organizzazioni internazionali che vengono pagati per diffondere letali ideologie in cui essi stessi non credono.
La conseguenza negativa di tutto ciò sta davanti al mondo intero: povertà, miseria e malattie; rifugiati dentro e fuori del paese e oltremare, la ricerca di più verdi pascoli che porta alla fuga dei cervelli, emigrazione clandestina e traffico di persone umane, guerre e spargimento di sangue, spesso su commissione, l'atrocità dei bambini soldato e l’indicibile violenza contro le donne. Come si può essere orgogliosi di “presiedere” su un tale caos? Che ne è del nostro tradizionale senso africano di vergogna? Questo Sinodo lo proclama forte e chiaro: è tempo di cambiare abitudini, per amore delle generazioni presenti e future.
***
Con il superamento della visione terzomondista, si è diffusa tra i politologi una visione della democrazia in Africa come vincolata alla dicotomia tra universalismo e i particolarismi del Continente, una logica ambigua e in parte contraddittoria. Si è iniziato a parlare della presunta “inadeguatezza” della democrazia allo specifico contesto africano...
Tuttavia, sin dall’epoca dei totalitarismi la domanda di apertura politica trovava in Africa modo di esprimersi, pur se nella clandestinità, divenendo gradualmente un’esigenza esplicita e pressante per le popolazioni.
Se è vero che l’attualità del Continente è segnata da colpi di Stato e processi elettorali caotici, bisogna ricordare che - contrariamente a quanto avvenuto altrove – in Africa l’apertura al pluralismo si è verificata in un contesto fortemente influenzato dalla Guerra Fredda e dalla scomparsa dei due blocchi americano e sovietico : fattori estremamente significativi, sebbene spesso tralasciati dagli esperti.

Inoltre, la crisi istituzionale che interessa molte Nazioni moderne africane è in parte riconducibile all’introduzione di quello specifico modello di democrazia «all’occidentale », basato sul concetto di rappresentatività. Tale sistema centralizzato si impone come criterio di unificazione su nuclei sociali anche molto diversi tra loro, sconvolgendone i rapporti interni ed esterni, trascurando il ruolo delle autorità tradizionali e costringendo le comunità a riconoscersi in un ibrido, ovvero la nuova identità di « Nazione ».
Numerosi focolai di tensione sono riconducibili all’applicazione di norme inadeguate, laddove in origine dominavano strategie di governance proprie e categorie concettuali politiche diverse, come la democrazia diretta e la decisione presa per consenso.

Se da un lato, quindi, si imputa ai governanti della tradizione passata africana una deriva autocratica e l’assunzione di scelte spesso impopolari, chi ci dice dall’altro che la prassi diffusa negli Stati-moderni - della « maggioranza più uno dei voti » ad esempio - rappresenti un sistema più coerente con la volontà popolare?

Un’attenzione insufficiente è stata riservata – a nostro avviso – ai processi politici autoctoni africani. Le interpretazioni arbitrarie sono proprio il frutto di una misconoscenza degli strumenti politici più vicini alla tradizione locale.
È ora che l’Africa trovi la propria strada per realizzare spazi di democrazia, a partire dal senso della comunità, della solidarietà e della condivisione, a partire dalla sua enorme umanità e spiritualità.

In un recente incontro tenuto a Pretoria, anche l’IMBISA (riunione interregionale degli episcopati dell’Africa del Sud) ha posto attenzione al tema “Pratiche di buon governo, l’etica e l’autonomia economica nell’era postcoloniale”.
Nelle conclusioni l’Assemblea di vescovi si appella ai dirigenti politici di tutto il mondo, affinché facilitino la creazione di spazi di trasparenza e benessere per le popolazioni.
I vescovi africani hanno sottolineato che senza una democrazia reale non ci sarà mai stabilità politica in Africa e la crescita del continente resterà imprigionata nelle contraddizioni dei suoi processi politici.

La questione della complessità del processo di democratizzazione è un dato che emerge in maniera eclatante anche dalle ultime tornate elettorali che hanno interessato il Continente.
Come afferma Severino Elias Nguenha, politologo mozambicano, al microfono di Filomeno Lopes: Con la crisi post elettorale della Costa d’Avorio è risorta la vecchia questione della relazione non scontata tra democrazia ed elezioni popolari. Ma considerarla una problematica prettamente africana sarebbe falso e contrario alla stessa deontologia politica (…) La democrazia è un’ideale che non si è mai riusciti a raggiungere pienamente. D’altra parte, anche nell’antichità, da Platone ad Aristotele, Machiavelli e Hobbes, i filosofi classici diffidavano della democrazia, quindi della capacità di tutti di partecipare in egual modo a questo dibattito.
(...)Che cosa vuol dire questo? Significa che se da una parte siamo convinti che la democrazia, come modello di vita in comune, è “il sistema meno peggiore” - come affermava Churchill - resta però il problema di comprendere quali sono i meccanismi attraverso i quali il popolo può partecipare effettivamente alla vita pubblica, e se urne ed elezioni possono essere considerate spazi certi di democrazia.(...)
Ci sono ad esempio contesti nei quali è sufficiente che le persone alzino la mano perché una volontà collettiva sia espressa. Ma questo può avvenire solo per gruppi molto piccoli. Non si può certo applicare a società con 50 milioni di abitanti…
(…)
Il processo di votazione è però talmente problematico, in determinati casi, che viene da dubitare che le elezioni siano necessariamente il cammino naturale per realizzare la democrazia. Ad esempio, in Algeria il FIS (Fronte Islamico di Salvezza) ha sì vinto le elezioni grazie all’appoggio popolare. Ma allora la gente ha votato con chiare intenzioni di cambiare i meccanismi stessi e le regole, che fino a quel momento avevano reso possibile lo stesso funzionamento del sistema democratico.
In quel caso, poi, l’esercito, con l’aiuto della Comunità Internazionale, è intervenuto anche pesantemente e in maniera antidemocratica, ma per proteggere e salvaguardare, la democrazia. Non hanno permesso che il FIS andasse al potere, con strumenti antidemocratici certo, eppure in nome proprio della democrazia. E questo ha salvato l’Algeria da una deriva potenzialmente fatale, ovvero ha impedito che nella Nazione assumesse il potere un regime di tipo estremista, nel quale la democrazia avrebbe certamente corso grosse rischi.
(...)
Ci sono numerosi esempi come questo, che mostrano come non esista un’equivalenza scontata tra democrazia ed elezioni.
Tra democrazia e rappresentatività esiste in realtà una relazione molto più complicata e complessa di quanto possa apparire a prima vista, ovunque. E allora, ancora una volta, se riduciamo questo dibattito ad un mero problema africano, corriamo il rischio di imbatterci in una caricatura della politica, perché chiudiamo gli occhi su quanto realmente accade intorno a noi.







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