Haiti un anno dopo, tanto resta da fare. Intervista con Marco Bertotto di Agire
Grazie alle donazioni degli italiani, le Ong legate ad Agire, l'Agenzia italiana risposta
emergenze, hanno portato soccorso a 250 mila persone vittime del terremoto di Haiti
di un anno fa. I 14,7 milioni di euro raccolti hanno contribuito alla distribuzione
di cibo, acque a beni di prima necessità. Sono stati allestiti rifugi temporanei per
oltre cinquemila persone e 41 campi di accoglienza forniti di latrine e di punti acqua.
Trebtadue le strutture educative temporanee, che hanno consentito la ripresa delle
lezioni per circa 25 mila bambini. “Non sarebbe però corretto sostenere che l’emergenza
è stata affrontata e risolta”, è l'opinione di Marco Bertotto, direttore di
Agire, “resta ancora molto da fare”. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. - Oggi,
siamo nella fase in cui la ricostruzione dovrebbe partire, ma ci sono molti ostacoli
che impediscono di attivare effettivamente la ricostruzione e soprattutto ci sono
ancora un milione e 300 mila persone nei campi sfollati e che richiamano la comunità
internazionale e le agenzie umanitarie ad un obbligo di accelerare i lavori, di migliorare
la qualità della risposta di intervento, con una sempre maggiore efficacia e velocità.
D. - Queste difficoltà da cosa sono dettate, esattamente?
R.
- Anzitutto, da una situazione che già prima del terremoto era drammatica: Haiti era
il Paese più povero dell’emisfero occidentale, il 50 per cento degli haitiani non
aveva accesso all’acqua potabile e il 70 per cento degli haitiani viveva con 2 dollari
al giorno. La situazione era già difficile prima e paradossalmente gli aiuti umanitari,
dopo il terremoto, hanno migliorato una situazione per molti aspetti drammatica, portando
un livello di sostegno e di aiuto che non preesisteva al terremoto. C’è una situazione
complessa legata anche alla situazione d’instabilità politica che vive il Paese: non
avere un interlocutore locale, un governo con sufficiente responsabilità e potere
per intervenire su alcuni aspetti centrali, fa sì che l’aiuto umanitario copra delle
falle ma non riesca ad affrontare sistematicamente quelli che sono i nodi strutturali.
Poi, ci sono i ritardi da parte della comunità internazionale: solo una quota dei
fondi che i governi avevano promesso - fondi pubblici messi a disposizione dalla comunità
internazionale e dai governi - è effettivamente arrivata ad Haiti. Tutto questo sta
rallentando la macchina degli aiuti e ci mette oggi nelle condizioni di parlare di
una situazione che ancora necessita di grande impegno e di grandi sforzi.
D.
- In percentuale, quanto è arrivato e quando vi aspettavate? Parliamo sempre dei fondi
degli Stati…
R. - Le stime degli ultimi giorni, fornite dalla Commissione
per la ricostruzione, parlano di circa il 60 per cento dei fondi arrivati, mentre
alla fine del 2010 eravamo al 40 per cento. Quindi, questo anniversario è servito
- forse - ad accelerare un po’ la disponibilità dei governi a mantenere delle promesse
che certamente erano ben più importanti appena dopo il 12 gennaio 2010. Evidentemente,
questi ritardi sono anche legati alla situazione d’instabilità politica: senza un
governo locale, molti Paesi donatori non si fidano ad inviare dei fondi che poi non
saprebbero garantire nel loro utilizzo.
D. - Da ottobre, anche questa
nuova emergenza che è dettata dall’epidemia di colera…
R. - Sì, è un’emergenza
nell’emergenza. Ci sono già 3.650 vittime: il Ministero della salute parla di un’espansione
nei prossimi 12 mesi dell’epidemia ad almeno 400 mila persone. Questo, evidentemente,
pone delle enormi sfide alle agenzie umanitarie. Quello che le Ong di Agire hanno
cercato di fare è stato di contenere l’epidemia, di intervenire con la gestione di
centri per il trattamento terapeutico del colera, con attività di sensibilizzazione
e di prevenzione, con interventi di igiene pubblica per la fornitura di acqua potabile,
la potabilizzazione delle acque, la moltiplicazione della presenza di latrine e di
punti acqua nei campi e in edifici ad uso comunitario. Tutto questo rischia, purtroppo,
di essere insufficiente di fronte ad una rapidità di sviluppo dell’epidemia che ci
mette realmente di fronte a una corsa contro il tempo. (mg)