Massimo Introvigne, rappresentante Osce per le discriminazioni verso i cristiani:
lavorerò per la libertà religiosa e contro l’emarginazione sociale
Massimo Introvigne, sociologo delle religioni, direttore del Centro studi sulle
nuove religioni (Cesnur) di Torino, è stato nominato “rappresentante dell’Osce per
la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un’attenzione
particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni”.
Ricordiamo che l’Organizzazione per la cooperazione e al sicurezza in Europa - che
ha sede a Vienna - cui oggi aderiscono ben 56 Paesi, è la più grande dopo l’Onu, e
comprende tutti i Paesi europei e dell’Asia centrale ex sovietica, più gli Stati Uniti
e il Canada, oltre la Santa Sede, tra i membri fondatori. Roberta Gisotti ha
intervistato il noto studioso, scrittore di innumerevoli saggi in gran parte dedicati
al pluralismo e alla libertà religiosa:
D. – Prof.
Introvigne, con quale spirito affronterà il suo nuovo incarico? Forse qualcuno obietterà
che all’interno dei Paesi Osce i cristiani non sono discriminati e godono anche di
privilegi rispetto ad altre religioni...
R. – L’Osce,
anzitutto, va - come ama dire - da Vancouver a Vladivostok, e quindi comprende Paesi
a est di Vienna e a ovest di Vienna. A est di Vienna ci sono molti Paesi che si avviano
alla democrazia: in particolare fanno parte dell’Osce tutti quelli che risultano dalla
disintegrazione dell’Unione Sovietica, molti dei quali hanno avviato una collaborazione
positiva anche con le istituzioni dell’Osce, per adeguare le loro leggi al pluralismo
e, in particolare, alla libertà religiosa. Ma non vi è chi non veda come in quest’area
molte cose rimangano da fare. A ovest di Vienna, invece, vi è una forma diversa di
discriminazione, che certamente nessuno pensa di mettere sullo stesso piano del terrorismo
e degli omicidi che si vedono in alcuni Paesi dell’Africa e dell’Asia. E però è quella
che lo stesso Papa Benedetto XVI chiama una “forma sottile di discriminazione”, che
emargina la religione dalla vita sociale e la "tollera" – verrebbe da dire – purché
stia buona e non dia fastidio.
D. – Il suo lavoro si
aggiungerà a quello dei due rappresentanti per la lotta contro l’antisemitismo e l’islamofobia.
In fondo, si tratta di un’unica causa per la libertà religiosa: perché, allora, una
persona per ogni confessione?
R. – C’era un paradosso,
e in qualche misura c’è ancora, nelle organizzazioni internazionali: noi sappiamo
da quadri statistici - compilati, fra l’altro, da esperti che non sono cattolici -
che tre episodi nel mondo di discriminazione e di persecuzione religiosa ogni quattro
sono rivolti contro i cristiani. Queste discriminazioni, da una parte, sono più numerose
e, dall’altra, talora, sono quelle di cui si parla meno.
D.
– Prof. Introvigne, come evitare che la causa della libertà religiosa possa sconfinare
nel mondo occidentale nel relativismo e nell’indifferentismo?
R.
– Questo è un problema molto importante: è anzitutto un problema teorico. Nel Messaggio
per la Giornata mondiale della pace 2011, Benedetto XVI ci spiega che il relativismo
non è il custode e il tutore della libertà religiosa, ma è precisamente il suo contrario.
Non si deve confondere la libertà con il mero libero arbitrio: la libertà è un orientamento
fondamentale verso la verità e il Papa ha detto in questo Messaggio che il relativismo
nega l’esistenza della verità e alla fine distrugge il fondamento stesso della libertà.
Si potrebbe quindi dire, in qualche modo, che il relativismo sega il ramo stesso su
cui la libertà religiosa vorrebbe essere seduta. Questo è naturalmente un discorso
molto importante dal punto di vista filosofico e teologico, che però anche per il
mio lavoro all’Osce ha una grande ricaduta pratica, perché effettivamente – e qui
parliamo dell’est di Vienna – ci sono dei Paesi, soprattutto in Asia, che fanno parte
dell’Osce, dove qualche volta i discorsi occidentali sulla libertà religiosa sono
accolti male perché si teme che essa sia l’equivalente del relativismo e sia portatrice
di idee relativiste tipicamente occidentali: idee che emarginano il ruolo della religione,
che al contrario è molto importante nell’area centro-asiatica o nell’area caucasica,
e che negano anche l’eredità e le tradizioni nazionali. Credo sia molto importante,
quindi, far comprendere che ci si può aprire alla libertà religiosa, riconoscerne
i veri fondamenti nella dignità di ogni persona umana, senza per questo abbracciare
quel relativismo che è tipico di un certo Occidente, che a molti Paesi lontani dall’Occidente
non piace.
D. – Quali priorità vi saranno nella sua
agenda? Lei prevede che sarà più difficile l’impegno e il dialogo sul piano politico
o culturale o interreligioso?
R. – La prima è il dialogo
diplomatico soprattutto con quei Paesi di nuova democrazia a est di Vienna, che ancora
hanno, per quanto riguarda per esempio i visti ai missionari, la costruzione di edifici
religiosi, la registrazione delle associazioni religiose, leggi che rendono la vita
difficile ai cristiani. Queste leggi possono essere migliorate. Invece, credo che
il secondo problema sia quello di diffondere una awareness: una consapevolezza
anche in Occidente dei veri fondamenti della libertà religiosa - che appunto non è
il relativismo - del diritto dei cristiani ad esprimersi anche pubblicamente, anche
sui temi morali, anche sui temi che interessano la società civile e la politica. Noi
pensiamo in particolare a un Convegno a Roma - per il quale c’è la disponibilità anche
del sindaco - che potrebbe, dato anche il ruolo particolarmente significativo della
città di Roma, farne un centro di diffusione di questa consapevolezza dell’esistenza
nell’area Osce, tanto a est come a ovest di Vienna, di intolleranza e discriminazioni
contro i cristiani.(ap)