Continua a crescere il Pil della Germania. Le mani di Cina e Giappone sui bond
europei
Dati confortanti per la produzione industriale europea che, secondo Eurostat, in novembre
ha registrato un aumento dell’1,4% rispetto al mese precedente. Più netta la crescita
su base annua con un + 7,8%. È per quanto riguarda il Prodotto interno lordo la Germania
si conferma la locomotiva d’Europa con una crescita nel 2010 del 3,6%, il dato più
rilevante dall'unificazione tedesca. Intanto in molti Stati membri dell’Ue prosegue
lo sforzo per ridurre il debito pubblico e per dare stabilità all’Euro, mentre il
commissario agli affari economici, Olli Rehn, chiede ulteriori risorse per il fondo
salva Stati. E in questa direzione va il collocamento avvenuto oggi sui mercati di
titoli di stato portoghesi per oltre 1200 milioni di euro, con Cina e Giappone in
prima linea nel contendersi l’acquisto del debito pubblico dei Paesi in difficoltà.
Per un’analisi della situazione Marco Guerra ha sentito il prof. Mario Deaglio,
docente di Economia Internazionale presso l’Università di Torino:
R. – Direi
che non ci sia scontro tra Cina e Giappone, tutte e due hanno lo stesso problema e
cioè sono troppo piene di dollari: le loro banche centrali e i loro investitori. Ciascun
investitore saggio cerca di differenziare un po’ i suoi investimenti. Quindi, la scelta
dell’euro è una scelta logica. Si aggiungono a questo probabilmente - per la Cina
in particolare - motivazioni di tipo politico-economico, cioè il tentativo di attrarre
l’Europa nella sua orbita o per lo meno di avvicinarla un poco.
D. –
Dopo Grecia e Irlanda, l’attenzione si sta focalizzando sul debito del Portogallo.
Dobbiamo temere un altro terremoto nel Vecchio Continente?
R. – Questi
sono dei piccoli tremori, in realtà. La Grecia, il Portogallo e l’Irlanda sono tre
Paesi la cui finanza fa una frazione di qualche punto percentuale sull’intero debito
europeo. Ciò che in realtà possiamo temere è la Spagna: se la Spagna si trovasse veramente
in difficoltà, allora le fondamenta dell’euro potrebbero ricevere qualche scossa,
perché tutti i Paesi dell’euro sarebbero chiamati con le nuove norme a sostenerla.
Quindi, se la crisi raggiungesse la Spagna, cambierebbe le sue dimensioni.
D.
– Con il perdurare della crisi a quale costo sarà possibile contenere il debito pubblico
dei Paesi europei?
R. – Il costo lo stiamo già vedendo nell’aumento
del numero dei disoccupati, che rispetto ad un anno fa è aumentato di due o tre punti
percentuali: si tratta di oltre una decina di milioni di disoccupati in più. I governi,
tagliando la spesa pubblica, causano sicuramente uno stimolo depressivo sulle economie,
legato alla necessità di tagliare i debiti.
D. – Eppure le attenzioni
di Bruxelles sembrano rivolte solo al debito pubblico...
R. – In una
società globalizzata, dominata dalla finanza, c’è un certo disinteresse per la disoccupazione.
Si pensa che la gente subirà, sopporterà le situazioni di difficoltà che ha davanti.
In realtà, potrebbe anche darsi che la gente a un certo punto mandi a casa i governanti
e questo lo vediamo nelle difficoltà crescenti e nell’impopolarità crescente dei governi.
Ricordiamoci che in Europa abbiamo molti Paesi dove i governi hanno maggioranze instabili
o addirittura governi di minoranza. Non c’è solo il caso italiano, ma anche i Paesi
Bassi, la Svezia, la stessa Gran Bretagna, che ha una coalizione molto insolita al
suo interno, c’è la Germania, dove il governo della cancelliera Merkel ha perso il
controllo della Camera Alta. In sostanza, è una situazione che ha al fondo una durezza
e una tempestosità nell’ambito dell’economia reale e dei problemi sociali, che molto
spesso facciamo finta di non vedere. (ap)