Vescovi europei e nordamericani in Terra Santa. Padre Pizzaballa: minoranza cristiana
sempre più fragile
Prosegue il viaggio in Terra Santa del Gruppo di Coordinamento delle Conferenze episcopali
di Europa e Nord America a sostegno delle comunità cristiane locali. Durante la loro
visita nei luoghi di Gesù, i presuli stanno incontrando autorità civili e religiose,
semplici cittadini e fedeli delle varie confessioni. Ascoltiamo al microfono di Amedeo
Lomonaco il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:
R. – E’ una
visita importante, che ancora una volta serve per rafforzare il legame tra le Chiese
nel mondo e le Chiese in Terra Santa. Non è una visita che cambierà sicuramente le
sorti politiche di questo Paese - la nostra vita continuerà ugualmente – ma è un segno
di solidarietà molto forte.
D. – Durante la visita i vescovi incontrano
le comunità locali, legando la loro solidarietà alle testimonianze di vita. Testimonianza
e solidarietà sono i volti della speranza cristiana in Terra Santa…
R.
– Sì, credo che sia l’elemento forse più bello e interessante: non soltanto quello
di fare delle conferenze, ma di incontrare i volti, le persone, le esperienze. Questo
è già un grandissimo rafforzamento, anzitutto per la comunità cristiana locale, ma
anche – penso - per i vescovi, che tornano ogni volta a casa, ricchi di esperienze
da portare poi nelle loro diocesi.
D. – Quale situazione trovano proprio
i vescovi in Terra Santa e soprattutto quali sono oggi le condizioni di vita della
comunità cristiana?
R. – Le condizioni di vita della comunità cristiana
sono fragili, come ormai è noto da tempo. I cristiani sono un numero sempre più ridotto.
Sono una minoranza che fa fatica ad avere segni esterni, pubblici, di visibilità,
con prospettive di sviluppo economico e politico sempre molto difficili. Sono situazioni
che, purtroppo, ormai conosciamo e che hanno bisogno di soluzioni stabili, che dipendono
però molto anche dalla capacità della politica di dare risposte. Cosa che in questo
momento, purtroppo, non si vede.
D. – Tra i temi al centro della visita
dei vescovi europei e nordamericani ci sono anche l’ecumenismo e la libertà religiosa…
R.
– L’ecumenismo in Terra Santa, in Israele, nei Territori Palestinesi è un problema
non solo teologico, ma anzitutto pastorale, perché le comunità cristiane vivono insieme
e non sempre, purtroppo, in Terra Santa diamo esempio di armonia dei rapporti. Quindi,
è un tema vissuto in maniera molto profonda da tutti. Per quanto riguarda la libertà
religiosa, non abbiamo i problemi che ci sono in altri Paesi del Medio Oriente, come
Iraq o Egitto, però non sempre l’accesso ai luoghi santi e la libertà di culto vanno
insieme alla libertà di coscienza e di espressione.
D. – Quale è la
forza della comunità cristiana del Medio Oriente, scossa dai recenti attentati in
Iraq ed Egitto, ma sempre saldamente ancorata alla propria fede?
R.
– E’ una comunità molto piccola, molto fragile con tanti problemi, però ha anche una
motivazione molto profonda, molto forte radicata nel territorio, nella tradizione,
nella fede, che tutti hanno ricevuto dai propri padri e che viene vissuta non solo
come tradizione, ma anche con un senso di identità e di appartenenza molto forte.
Questa è la testimonianza più forte che la comunità cristiana può dare in Terra Santa.
(ap)