L'Egitto richiama per consultazioni l'ambasciatore presso la Santa Sede. Riccardi
e Cardia sul discorso del Papa al Corpo Diplomatico
L’Egitto ha richiamato oggi l’ambasciatrice presso la Santa Sede per consultazioni.
“La decisione, spiega in un comunicato il portavoce del ministero degli esteri Zaki,
avviene sullo sfondo delle dichiarazioni del Vaticano concernenti gli affari interni
egiziani”. In seguito all’attentato di Capodanno alla comunità copto-ortodossa di
Alessandria d’Egitto, il Papa aveva espresso solidarietà ai cristiani copti e rivolto
un appello alle autorità del Medio Oriente per la protezione, appunto, dei cristiani.
E ha suscitato un vasto dibattito l’intenso discorso del Papa, ieri, al Corpo
Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Benedetto XVI ha ribadito con forza
che la pace autentica passa attraverso il rispetto del diritto alla libertà religiosa
in tutta la sua estensione. Fabio Colagrande ha raccolto il commento dello storico
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio:
R. – A me
sembra che il Papa insista, giustamente, sul tema della libertà religiosa - e lo ha
connesso anche al discorso della pace – perché si rende conto proprio di come, anche
attraverso le difficoltà dei cristiani, la libertà religiosa sia in pericolo. Perché
i cristiani vengono colpiti? Questa è la domanda. Vengono colpiti proprio perché rappresentano
una comunità talvolta minoritaria che, però, non si piega alla logica dell’odio e
della contrapposizione. Allora come difenderla? Il Papa non solo difende i cristiani,
ma chiede libertà, sicurezza, pace per tutti, perché senza la libertà religiosa le
società si stravolgono. Noi siamo convinti, per esempio, che un Medio Oriente senza
cristiani – e noi abbiamo visto come l’Iraq sia stato depauperato della minoranza
cristiana – sarà più totalitario e sarà un problema per i musulmani stessi.
D.
– Il Papa ha detto di apprezzare lo sforzo di alcuni Paesi d’Europa che chiedono una
risposta concertata dell’Unione Europea di fronte alle violenze che subiscono i cristiani
nel Medio Oriente. Lei pensa che sia questa la via giusta per cercare di rimediare
a queste situazioni di violenza ricorrente nell’ultimo periodo?
R. – E’ una
via importante, perché non solo i governi europei, ma la stessa opinione pubblica
europea non sempre è stata sensibile alla realtà dei cristiani minoritari o dei cristiani
d’Oriente. Gli stessi cristiani in Occidente sono stati ripiegati sui loro problemi
e non hanno posto ai loro governi questa grande priorità, che è la priorità della
difesa dei cristiani e delle minoranze cristiane. Quindi, ben venga un intervento
dell’Unione Europea ed io capisco che questo intervento sia apprezzabile, per l’effetto
che può avere, ed apprezzabile anche come risveglio degli europei. “Voi non avete
resistito fino al sangue”, si legge nella Lettera agli Ebrei: spesso i cristiani occidentali
si sono persi in ragionamenti, in polemiche tutte interne al loro mondo, dimenticando
sostanzialmente la grande sfida del cristianesimo nel mondo contemporaneo; e la grande
sfida è quella di rappresentare una testimonianza forte, che non si serve di armi
o di potenza, ma attraverso la fede, la carità, diventa persuasiva, diventa attraente,
diventa comunicativa.(ap)
Il Papa, nel suo discorso al Corpo Diplomatico,
ha affermato che oggi nel mondo sono numerose le situazioni in cui il diritto alla
libertà religiosa è leso o negato. Ha parlato della crescente emarginazione della
religione nei Paesi dove si esaltano pluralismo e tolleranza. Ha denunciato le discriminazioni
contro i cristiani. Ascoltiamo in proposito il prof. Carlo Cardìa, ordinario di Diritto
ecclesiastico all’Università di Roma Tre, al microfono di Fabio Colagrande:
R. – Noi siamo
di fronte ad un vero e proprio manifesto per la libertà religiosa, perché vi è una
visione sia teorica, ma poi planetaria, dei tanti modi in cui la libertà religiosa
subisce dei limiti, a volte molto pesanti come le persecuzioni e a volte scendendo
nella nostra realtà a pericoli sottili, che però sono quotidiani. Io vorrei fare due
esempi, di cui uno è molto noto: questa emarginazione, questa voglia di emarginare,
cancellare i simboli religiosi che non avviene in nessun’altra parte del mondo. Se
uno andasse in Asia e chiedesse di cancellare il Buddha compassionevole che è onnipresente,
le popolazioni del luogo rimarrebbero esterrefatte. Noi invece, forti del principio
di libertà religiosa, enunciato in astratto e anche concretamente tutelato, tentiamo
poi di scalfirlo, di eroderlo. Allora, l’eliminazione dei simboli religiosi è un punto,
ma ne ricordo un altro che è meno conosciuto: nella scuola adesso si fanno avanti
dei progetti di educazione sessuale obbligatoria, nella quale passano le concezioni
cosiddette relativiste, dove non c’è nessun progetto antropologico, dove si attenua
e poi si annulla la libertà di coloro che sono i destinatari dell’insegnamento. Attenzione!
Di fronte a questo tipo di insegnamento non c’è possibilità di avere il cosiddetto
esonero, di essere esentati. A questo aggiungiamo anche il fatto che vi è – e il Papa
ne parla – una tendenza a sminuire, a svilire il diritto di obiezione di coscienza
su alcune questioni, come quelle dell’aborto o quelle dell’affidamento dei bambini
a coppie che non siano eterosessuali. Io ho fatto solo degli esempi minori: è vero
che sono sottili, ma sono anche molto concreti e fanno passare una concezione per
la quale la religione è qualcosa di vecchio, di privato, che uno - se vuole - può
coltivare personalmente, ma di cui la società può tranquillamente non tenere conto.
D.
– Potremmo dire che il pericolo di queste minacce è accentuato dal fatto che si presentano
con il vestito della tolleranza, del pluralismo, quindi con un’immagine apparentemente
positiva?
R. – Sì, però è una concezione della tolleranza intollerante: quando
io impongo un certo tipo di insegnamento, allora questa tolleranza diventa intolleranza.
D. – Il Papa osserva che spesso si crea una sorta di scala nella gravità dell'intolleranza
verso le religlioni, per la quale le discriminazioni contro i cristiani vengono considerate
meno gravi rispetto ad altre...
R. – Io la spiego come una cosa che viene da
lontano. Faccio degli esempi concreti: ormai da anni – credo almeno da due decenni
– vi sono stati dei fenomeni di oltraggio, offesa – chiamiamola come vogliamo – ai
simboli più eminenti del cristianesimo, a volte con la scusa dell’arte, a volte senza
nemmeno la scusa dell’arte, e nessuno è intervenuto, ha protestato, dicendo che questo
faceva parte della libertà di espressione. Quando le stesse cose, anche minori, sono
state fatte, sbagliando, nei confronti dell’islam è successo – utilizzo questo termine
di uso quotidiano – il putiferio che noi conosciamo. Poi questa situazione è andata
avanti e adesso noi ci ritroviamo – perché certe cose si depositano psicologicamente
nell’animo di ciascuno di noi – che quando avviene una strage di cristiani si esprime
qualche parola di dolore e finisce lì. Ecco, la coscienza si ottunde un po’. Si manifesta,
dunque, questa graduatoria dell’offesa, allora – un concetto molto bello e drammatico
che ha espresso il Pontefice – per cui vi sono religioni che si possono offendere
o, comunque, se le si offende o le si colpisce è un male minore, ed altre per cui
questo non vale. (ap)