La Corea del Nord potrebbe produrre un missile intercontinentale entro i prossimi
cinque anni e rappresenta una minaccia diretta per gli Stati Uniti. Lo ha detto il
capo del Pentagono, Robert Gates, durante la sua missione in Cina dove ieri ha incontrato
il presidente, Hu Jintao, nel tentativo di rafforzare i rapporti militari tra Washington
e Pechino. Nei giorni scorsi, durante colloqui con i vertici cinesi, le parti hanno
sottolineato l’importanza di dialogare per evitare incomprensioni future. Sul valore
di queste dichiarazioni, alla luce della crisi coreana, Eugenio Bonanata ha intervistato
Emanuele Giordana, direttore di Lettera 22:
R. – Sono
dichiarazioni che naturalmente hanno senso nel gergo della diplomazia. L’utilizzo
di certe parole, che possono sembrare non solo vaghe ma persino vuote, un certo valore
invece lo l’ha. C’è una preoccupazione diffusa sia tra gli americani sia tra i cinesi
per la posizione della Corea e questo, sicuramente, è un dossier che è stato trattato
e che continuerà ad esserlo, nei confronti del quale i cinesi, ai quali gli americani
chiedono di fare di più, hanno le armi relativamente spuntate perché il loro conntrollo
sul governo nordcoreano arriva in realtà solo fino a un certo punto.
D.
– Proprio sul versante nordcoreano, in queste ore si sta muovendo la diplomazia del
Giappone e quella della Corea del Sud, mentre Pyongyang parla di un accordo di pace
con Seul in sostituzione del fragile armistizio…
R. – Direi che, se
una novità può arrivare, lo può dal movimento più generale delle diplomazie che siedono
al tavolo a sei sulla Corea del Nord. Se tutti si mettono a lavorare – compresi giapponesi
e naturalmente sudcoreani – allora le cose possono cambiare, e i segnali di questi
giorni sono segnali importanti.
D. – Tornando alla missione di Gates
in Cina, come possiamo valutarla?
R. – Naturalmente, il viaggio si può
leggere come un modo per ricucire i rapporti con la Cina. In realtà, in futuro questi
sono destinati ad avere, per così dire, un movimento continuamente ondivago, perché
gli americani sono molto preoccupati del crescente potere della Cina che possiede
una parte rilevantissima del debito pubblico americano e inoltre è in grado – attraverso
una moneta che viene utilizzata in maniera molto abile per gli scambi commerciali
– di danneggiare anche il commercio americano. Quindi, alla fine, la preoccupazione
di fondo degli Stati Uniti rimane questa. Ci sono poi le grandi questioni diplomatiche
e la necessità di avere la Cina come partner e non come nemico. Che questo viaggio
possa mettere a posto tutte le cose, è molto improbabile: le questioni di fondo –
che rimangono in sostanza quelle di una potenza emergente che equivale, in un certo
senso, a quella americana – resteranno tali e un viaggio non basterà a risolverle.
(gf)