2011-01-11 15:38:00

Il capo del Pentagono in missione in Cina


La Corea del Nord potrebbe produrre un missile intercontinentale entro i prossimi cinque anni e rappresenta una minaccia diretta per gli Stati Uniti. Lo ha detto il capo del Pentagono, Robert Gates, durante la sua missione in Cina dove ieri ha incontrato il presidente, Hu Jintao, nel tentativo di rafforzare i rapporti militari tra Washington e Pechino. Nei giorni scorsi, durante colloqui con i vertici cinesi, le parti hanno sottolineato l’importanza di dialogare per evitare incomprensioni future. Sul valore di queste dichiarazioni, alla luce della crisi coreana, Eugenio Bonanata ha intervistato Emanuele Giordana, direttore di Lettera 22:RealAudioMP3

R. – Sono dichiarazioni che naturalmente hanno senso nel gergo della diplomazia. L’utilizzo di certe parole, che possono sembrare non solo vaghe ma persino vuote, un certo valore invece lo l’ha. C’è una preoccupazione diffusa sia tra gli americani sia tra i cinesi per la posizione della Corea e questo, sicuramente, è un dossier che è stato trattato e che continuerà ad esserlo, nei confronti del quale i cinesi, ai quali gli americani chiedono di fare di più, hanno le armi relativamente spuntate perché il loro conntrollo sul governo nordcoreano arriva in realtà solo fino a un certo punto.

D. – Proprio sul versante nordcoreano, in queste ore si sta muovendo la diplomazia del Giappone e quella della Corea del Sud, mentre Pyongyang parla di un accordo di pace con Seul in sostituzione del fragile armistizio…

R. – Direi che, se una novità può arrivare, lo può dal movimento più generale delle diplomazie che siedono al tavolo a sei sulla Corea del Nord. Se tutti si mettono a lavorare – compresi giapponesi e naturalmente sudcoreani – allora le cose possono cambiare, e i segnali di questi giorni sono segnali importanti.

D. – Tornando alla missione di Gates in Cina, come possiamo valutarla?

R. – Naturalmente, il viaggio si può leggere come un modo per ricucire i rapporti con la Cina. In realtà, in futuro questi sono destinati ad avere, per così dire, un movimento continuamente ondivago, perché gli americani sono molto preoccupati del crescente potere della Cina che possiede una parte rilevantissima del debito pubblico americano e inoltre è in grado – attraverso una moneta che viene utilizzata in maniera molto abile per gli scambi commerciali – di danneggiare anche il commercio americano. Quindi, alla fine, la preoccupazione di fondo degli Stati Uniti rimane questa. Ci sono poi le grandi questioni diplomatiche e la necessità di avere la Cina come partner e non come nemico. Che questo viaggio possa mettere a posto tutte le cose, è molto improbabile: le questioni di fondo – che rimangono in sostanza quelle di una potenza emergente che equivale, in un certo senso, a quella americana – resteranno tali e un viaggio non basterà a risolverle. (gf)








All the contents on this site are copyrighted ©.