Giornata delle migrazioni. Mons. Perego: aprirsi al dramma di chi fugge
Sarà Genova l’epicentro della Giornata mondiale delle migrazioni, dal tema “Una sola
famiglia Umana”, celebrata dal presidente della Cei, cardinale Bagnasco domenica 16
gennaio e quest’anno dedicata a rifugiati e universitari stranieri. Oggi la presentazione
a Roma, presso la sede della nostra emittente, da parte del presidente della fondazione
Cei Migrantes, mons. Schettino e del direttore generale mons. Perego. Nella particolare
situazione sociale, economica, culturale e religiosa, ha detto mons. Perego, i temi
richiamati dal Papa nel suo messaggio per la giornata aprono prospettive di confronto
e crescita: la lettura dell’immigrazione dentro un progetto-pacchetto integrazione
su cui si fatica ancora ad investire; l’impegno alla riforma della legge sulla cittadinanza
che non sia di carta ma attiva e partecipativa; l’attenzione alle minoranze; il dovere
di regolare i flussi, alla luce del nuovo decreto che ancora fatica a rispondere alle
necessità. Quale quindi il messaggio della Cei? Mons. Giancarlo Perego al microfono
di Francesca Sabatinelli.
R. – Aprirsi
a questo bisogno importante che interessa 43 milioni di persone nel mondo e che interessa
alcune migliaia di persone anche in Italia; aprirsi e non avere paura di volti, di
storie importanti che sono alla ribalta in questi giorni - la storia ad esempio dei
duecento eritrei sul Sinai – di persone in fuga, perseguitate, violentate, che attendono
un Paese in cui trovare una casa, in cui trovare persone capaci di accompagnarle a
ricostruire una storia, che è stata profondamente segnata da violenze e da oppressioni.
D.
– Lei citava i 200 poveretti che sono nel Sinai in mano ai predoni: sappiamo che un
numero di questi – circa un’ottantina – sono stati vittime dei respingimenti...
R.
– Certamente. E’ uno dei temi importanti di cui sempre abbiamo contestato il valore
all’interno del nostro Paese, perché riteniamo che respingere una persona senza conoscerne
la storia, l’identità sia uno degli errori più gravi. E proprio perché tante volte
in questi respingimenti indifferenziati c’è la persona - c’è la donna, c’è l’uomo,
c’è il bambino - che proviene da una situazione drammatica e che chiede asilo e rifugio,
è giusto che questo diritto fondamentale, che dal ’50 è stato sottoscritto anche dall’Italia,
venga salvaguardato anche attraverso percorsi di incontro e di conoscenza e non respingimenti
indifferenziati.
D. – Guardiamo alla capitale, alla notizia di questi
150 somali chiusi in questa ex ambasciata, in un quartiere borghese. Queste persone
hanno ricevuto lo status di rifugiato, lo Stato però li ha completamente abbandonati,
cosa che non succede negli altri Paesi dell’Unione Europea, dove c’è un accompagnamento...
R.
– In Italia manca ancora una legge specifica sull’asilo, che aspettiamo da 50 anni,
che tuteli i percorsi anche in questo senso. L’unico percorso che oggi è diventato
importante è il percorso dello Sprar, gestito da Anci, che nello scorso anno ha accolto
7800 persone e che le ha accompagnate in questo diritto d’asilo, che dovrebbe essere
rafforzato all’interno di un piano strutturale, che sia effettivamente sostenuto da
una legge sull’asilo. Per questo più volte si è sottolineato l’urgenza di una legge
che possa effettivamente tutelare questi volti e storie.
D. – Media
e politica: chi ha più responsabilità di questo allontanamento anche dalla pietà umana?
R.
– Le responsabilità sono di entrambi anche se diverse: della politica, perché tante
volte non costruisce un percorso indipendentemente da un’opinione pubblica e si lascia
guidare solo dall’opinione pubblica; dei mezzi di comunicazione sociale, perché tante
volte in questi percorsi sottolineano purtroppo soprattutto le paure, le difficoltà,
i disastri, anziché sottolineare le buone prassi e tutto ciò che di positivo sta capitando
in questo incontro straordinario con persone di 198 nazionalità del mondo.
D.
– Non dobbiamo dimenticare che è contemplata anche l’attenzione verso gli universitari
stranieri. A che punto è l’accoglienza in Italia?
R. – E’ un’accoglienza
che è ancora debole. Lle città italiane ospitano le università europee con la minore
attrazione di studenti stranieri: 54 mila studenti stranieri contro il doppio dell’Inghilterra,
della Francia e della Germania. Una capacità debole dettata dal fatto che mancano
strutture residenziali per studenti universitari e mancano borse di studio. Quindi
la riforma universitaria dovrebbe essere fortemente attenta anche alle esigenze di
questa capacità di attrazione e di accompagnamento di studenti stranieri. La Sapienza,
a Roma, è l’Università con il maggior numero di stranieri, anche se percentualmente
è la Bocconi di Milano l’Università che ha il maggior numero di studenti stranieri.
Credo che queste due Università debbano fare da capofila ad un percorso effettivamente
di internazionalizzazione dell’Università, perché senza di esso, c’è il rischio che
l’Italia rimanga ai margini di una crescita culturale e di ricerca rispetto agli altri
Paesi europei, sapendo invece che questo è sempre stato uno degli elementi fondamentali
più importanti. (ap)