Neonato muore di stenti e freddo a Bologna: intervista col direttore della Caritas
emiliana
Siamo profondamente addolorati, tutti dobbiamo riflettere ed assumerci la responsabilità
di quanto è successo. Così Paolo Mengoli, direttore della Caritas di Bologna,
il giorno dei funerali di Devid Berghi, un neonato di appena venti giorni morto di
stenti e freddo nel centro di Bologna, lo scorso 4 gennaio. Il piccolo, febbricitante
insieme al fratello gemello, fortunatamente ora in salvo, viveva in strada da circa
20 giorni, con i genitori e la sorella di tre anni e mezzo. Inutili i soccorsi: Devid,
portato in ospedale, non ha superato la crisi respiratoria che gli ha tolto la vita.
Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso direttore della Caritas,
Mengoli.
R. - Credo
che il dolore più grande per un genitore sia la morte di un figlio e l’intera città
partecipa a questo dramma. Questo evento impone una riflessine a tutto tondo, tutti
siamo in qualche modo responsabili per quanto è accaduto. E’ una cosa che ci tocca
profondamente. L’arcivescovo stesso mi ha chiamato, non era mai successa una disgrazia
di questo tipo, è una cosa drammatica, che non si può neanche descrivere.
D.
- Da oltre venti giorni in strada dopo il parto. La famiglia viveva di giorno in “sala
borsa”, cioè in biblioteca e di notte dove poteva. Possibile che nessuno si sia accorto
di loro?
R. – Come ho detto dobbiamo interrogarci su come sia stato
possibile non vedere, non accorgerci, quindi un po’ tutti siamo responsabili. E senza
alcuna volontà di scaricare responsabilità però mi chiedo: questa donna, prima di
partorire, è stata incinta per nove mesi e i servizi sociali che domande si sono posti?
Hanno svolto il proprio lavoro? Bologna è una città che ha una solidarietà concreta,
la Caritas è attiva, abbiamo alcune provvidenze ecclesiali, come le suore di Madre
Teresa, che questa mattina hanno partecipato al funerale del bambino. Loro offrono
gratuitamente ospitalità, come fanno in tutto il mondo, e quindi gli sforzi ci sono.
Ciò non toglie però che quello che si fa è sempre poco.
D. - Queste
persone non avevano più né una casa né un lavoro. Lei mi ha detto: “Questo drammatico
caso mostra anche delle nuove povertà, dove non esiste più la rete della famiglia”…
R.
– Certo, mancano le reti familiari di supporto, ci si potrebbe chiedere: “Ma queste
persone avevano delle famiglie?”… Però, evidentemente, sono famiglie che non avranno
avuto le energie e le forze per dare aiuto. E qui si evidenzia un’altra carenza. Poi
c’è il fattore crisi economica, abbiamo decine di famiglie che vengono nelle nostre
mense, persone che perdono il lavoro che rimangono senza nulla. E questo contribuisce
a demolire le famiglie. La famiglia è la prima cellula che dev’essere aiutata. E’
inutile avere dei soldi per la beneficenza, ci vogliono dei posti di lavoro.
D.
Lei ha incontrato il papà di Devid a Natale…
R - . Si e mi ha detto
che la moglie era ricoverata con il bimbo e che lui aveva assistenza presso un centro,
mi ha detto che potevano cavarsela…
D. - Un altro punto che mi diceva
è quello dell’amore, che comunque le stesse famiglie cercano di difendere. Sono cioè
reticenti a comunicare il loro stato d’indigenza per non essere separati e quindi
serve una società che capisca questo ed affronti il problema in modo diverso…
R.
- Il punto di fondo è questo, perché il primo suggerimento, quello più facile è: dividiamo
la famiglia, la mamma e le bimbe da una parte ed il papà lo si mette in un dormitorio.
Allora è chiaro che, quando c’è un minimo di dignità, c’è anche un tentativo di resistere
a questa soluzione molto facile e allora si tenta di resistere e si pensa di potercela
fare; poi ci sono delle persone - che ho conosciuto - che non si aprono, che hanno
una loro riservatezza, un amor proprio, un loro pudore e quindi non si sa veramente
la loro condizione di vita. Da tempo sosteniamo l’esigenza di un servizio di “pronto
soccorso sociale”, un punto a cui far riferimento anche attraverso un numero di telefono
e dove è possibile avere indicazioni precise, aiuto concreto ed accoglienza, di giorno
e di notte. (vv)