Sudan: da oggi il referendum sull’indipendenza del Sud. Ancora scontri nella regione
di Abyei
Urne aperte in Sudan dove oltre 4 milioni di persone sono chiamate ad esprimere il
loro consenso al referendum che potrebbe sancire la secessione del Sud dal Nord e
la nascita di un nuovo Stato indipendente da Karthoum. "Un momento storico", ha detto
Salva Kir, presidente della Regione semiautonoma. Ieri, vigilia di violenze con 9
morti mentre oggi si registra almeno una vittima in scontri tribali nella regione
petrolifera di Abyei. Altissima l’affluenza ai seggi ma le operazioni di voto, sotto
il controllo dell’Onu, andranno avanti fino a sabato 15 gennaio. Il servizio di Cecilia
Seppia:
Dopo 22
anni di guerra civile, 14 mesi di difficilissime trattative, un accordo di pace nel
2005 che ha frenato un vero genocidio con due milioni di morti e quattro di sfollati,
il Sudan si prepara a vivere la tappa più importante della sua storia. Da questa mattina
alle 8 migliaia di persone sono in coda ai seggi per esprimere il proprio consenso
alla nascita di nuovo Stato del sud indipendente da Karthoum. Al voto 4 milioni di
sud-sudanesi, il 95 per cento dei quali si trova appunto nel Sud, gli altri
nel Nord, 60 mila nei Paesi confinanti, poi ancora in Australia, Usa, Gran Bretagna
e Canada. Al lavoro 17 mila osservatori locali e 1.200 stranieri e per ora - dicono
- tutto procede in modo regolare. Il primo a votare a Juba, è stato Salva Kir primo
vicepresidente del Sudan e presidente del governo del Sud, che ha parlato di un momento
storico che tutti attendevano. Da lui il monito alle Forze dell’ordine perché garantiscano
la sicurezza del voto, quindi l’auspicio di poter stabilire con il Nord un buon vicinato
e risolvere le questioni principali attraverso negoziati, dialogo e cooperazione.
Intanto dopo una vigilia elettorale macchiata di sangue, con scontri, nella contea
di Mayom tra i ribelli e l'ex milizia autonoma del Sud Sudan, oggi si è registrata
una vittima in seguito a violenze esplose nella ricchissima e contesa regione di Abyei,
ma il bilancio potrebbe essere più pesante. Dall’Onu e dall’Ue nuovi appelli alla
calma, mentre il governo schiera per le strade migliaia di agenti.
Quale
il clima che si respira dunque in queste ore nel Sud Sudan? Fabio Colagrande
lo ha chiesto a padre Daniele Moschetti, provinciale dei Comboniani nel Paese:
R. – In
questo momento c’è un’attesa molto entusiastica della gente, c’è grande aspettativa!
Sembra un voto scontato e la visita di Bashir, la settimana scorsa, ha dato ancora
più serenità e anche desiderio di pace e di relazione.
D.
– Quali sono in sintesi i motivi forti che stanno dietro questo desiderio di secessione
da parte della popolazione del Sud Sudan?
R. – Politicamente,
dal 1956, dall’indipendenza del Sudan dagli inglesi, c’è sempre stata una guerra civile
e, quindi, si capisce il desiderio profondo che hanno queste popolazioni del Sud,
perché non sono mai state considerate allo stesso livello del Nord: infatti, il Sud
è molto più povero. Poi, logicamente, c’è la dimensione della Sharìa, della legge
islamica che vige nel Nord, che condanna i cristiani ad essere cittadini di serie
“B” dal punto di vista lavorativo e che non riconosce loro alcuni diritti: questo
per il Sud - che è cristiano e animista - è sempre stata una delle ragioni per separarsi
dal Nord. Il motivo fondamentale, invece, di questa lotta, di questa guerra è il petrolio
e tante altre risorse che sono presenti in questo Paese.
D.
– A questo proposito si dice che se il referendum dovesse sancire il “sì” alla secessione,
il presidente sudanese Bashir e il suo partito perderebbero circa il 70 per cento
delle loro rendite petrolifere. E’ giusto dire così?
R.
– Sì, esattamente. Sono molto interessati a non lasciare andare il Sud, perché da
esso ricavano quasi il 70 per cento del loro Pil. Quando Bashir, martedì scorso, è
venuto a visitare il presidente del Sud, Salva Kir, ha dichiarato che
comunque questo discorso del petrolio, dell’Abyei, cioè la zona dove in questo momento
non si svolgerà il referendum, sarà comunque discusso e si cercheranno risposte e
soluzioni.
D. – I vescovi cattolici sudanesi hanno espresso
in un documento la loro idea sul referendum, le loro speranze. Quali sono le aspettative
della Chiesa locale?
R. – I vescovi hanno veramente
seguito da tanto tempo e hanno accompagnato con grande solidarietà, con la preghiera
e con azioni decise, questo processo che sta portando al referendum. Ultimamente,
poi, in due lettere pastorali – una di luglio e una di novembre – il messaggio chiaro
è stato che il Sudan non sarà mai più lo stesso: questo è lo slogan che è venuto fuori
dalle loro lettere. E questa è una presa di coscienza da parte delle zone del Sud,
soprattutto perché esprimono democraticamente la scelta di essere indipendenti o di
rimanere uniti. (ap)