2011-01-07 15:15:05

Europa: l'economia cresce poco. Italia: disoccupazione giovanile quasi al 29 per cento


Il Prodotto Interno Lordo in Europa continua a crescere, ma in modo debole. Il Pil dei sedici Paesi della zona dell’euro e dell’Unione europea è infatti aumentato dello 0,3% nel terzo trimestre dell’anno, secondo Eurostat. Il dato è stato rivisto al ribasso rispetto allo 0,4% della stima pubblicata a novembre scorso. Per il presidente della Bce, la Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, i Paesi europei devono concentrarsi sul “consolidamento di bilancio per rafforzare il potenziale di crescita delle economie”. Adesso - ha sottolineato - è l'ora che ogni Paese si assuma le sue responsabilità perché la Bce, nel campo della politica monetaria, non può sostituire la irresponsabilità di nessuno. In Italia, intanto, i dati Istat mettono in luce un aumento della disoccupazione giovanile, salita al 28,9 per cento. Alessandro Guarasci ha intervistato l’economista Luigi Paganetto.RealAudioMP3

R. - E’ chiaro che sta accadendo qualcosa di nuovo: è la capacità di un’area del mondo – di più aree del mondo – di crescere, e dell’area europea di non crescere abbastanza. Questo è un punto veramente importante perché se non mettiamo in moto la crescita, anche il problema del debito pubblico, anche i problemi del deficit si aggravano piuttosto che risolversi.

D. - Professore, secondo lei, in Italia e in Europa la crisi è ancora troppo debole e soprattutto, da quali fattori dipende questa debolezza?

R. - Io credo dalla nostra difficoltà a realizzare prodotti nuovi, a misurarci con le sfide dei Paesi che stanno cambiando. La Germania è l’unico Paese che progredisce, ma non bisogna dimenticare che la Germania ha fatto degli investimenti importanti sulle innovazioni tecnologiche.

D. - Secondo lei, c’è il rischio di una crescita debole accompagnata da una disoccupazione addirittura in aumento?

R. - Anche se la disoccupazione non fosse in aumento, quello che preoccupa è l’assenza di qualsiasi segnale d’inversione della rotta. Non bisogna dimenticare che se è vero che sono stati messi in cassa integrazione tutti quelli che hanno perduto la possibilità di lavorare nelle fabbriche perché le fabbriche non hanno ordinativi, è vero anche che questo è un “provvedimento-tampone” a cui bisogna rispondere con la capacità del sistema industriale di trovare nuove opportunità. Altrimenti, il rischio è che si guardi al mantenimento di una situazione nel tentativo di evitare quindi - come è giusto che sia - difficoltà per le famiglie, che però ci sono comunque perché l’indennità che queste famiglie ricevono certamente non equivalgono allo stipendio precedentemente percepito. Inoltre, la prospettiva che manca è quella del futuro e questo riguarda soprattutto i giovani.

D. - Questo vuol dire che c’è ancora troppo poca flessibilità in entrata oppure il meccanismo in qualche modo si è inceppato?

R. – Direi che il meccanismo di creazione di nuove opportunità si è proprio inceppato. Non bisogna dimenticare che il cambiamento è l’elemento fondamentale di qualunque sistema economico. Per far “riprendere la macchina” bisogna immaginare politiche che a parità di spese, senza incidere sul bilancio - e si può fare - facciano aumentare la competitività del sistema e soprattutto facciano aumentare il grado di concorrenza di aree importanti dell’economia italiana. Bisogna muoversi da questa situazione in cui, alla fine, rischiamo di tutelare sì, in maniera parziale, le famiglie ma non i giovani. Questo dovremmo cercare di superarlo. (bf)







All the contents on this site are copyrighted ©.