Dall'Algeria alla Tunisia, giovani in piazza nei Paesi del Maghreb in crisi
Algeria e Tunisia sono in questi giorni accomunate da una forte tensione sociale.
Ad Algeri, in altre città ed in Cabilia da alcuni giorni si segnalano violente proteste
di piazza contro una legge, poi ritirata, che ha innescato l’aumento dei prezzi di
prodotti alimentari di largo consumo. Anche in Tunisia scioperi e manifestazioni in
vari settori del lavoro contro la piaga della disoccupazione. Sono soprattutto le
fasce giovanili che stanno facendo sentire ai governi la voce del dissenso. Ma c’è
un filo conduttore tra queste due situazioni? Giancarlo La Vella lo ha chiesto
a Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa, raggiunto telefonicamente a Tunisi:
R. - Il filo
conduttore è la crisi economica internazionale che ha colpito anche questi Paesi.
Siamo di fronte ad un nuovo ciclo delle rivolte che periodicamente toccano questi
Paesi, però rispetto ad esempio alle rivolte degli anni ’80 ci sono sicuramente elementi
nuovi. Sia in Tunisia che in Algeria sono i giovani che sono in prima linea nella
rivolta e nella protesta popolare e questo non deve stupire, visto che tre quarti
della popolazione del Maghreb è formata da giovani che hanno meno di 30 anni. Ad esasperare
gli animi non è solo la crisi: la mancanza di lavoro in primo luogo, l’aumento dei
prezzi dei generi di prima necessità o la mancanza di alloggio, ma comune a questa
protesta è la perdita di credibilità delle autorità politiche presso i giovani, presso
la popolazione, perché non hanno saputo mantenere le promesse.
D. -
Siamo abituati a guardare ai giovani del Nord Africa come a persone che fuggono dal
proprio Paese per andare in cerca di fortuna, di solito in Europa. Questa protesta
ha il significato invece del voler rimanere nel proprio Paese per migliorare le cose?
R.
– Certo! Infatti, non dimentichiamo che questi giovani hanno goduto comunque di una
scolarizzazione di massa, quindi sono persone già formate che però non trovano lavoro:
non lo trovano né a livello della propria formazione, né trovano un lavoro qualunque,
perché ormai anche i lavori tradizionali, come il piccolo commercio, hanno esaurito
tutte le possibilità che avevano. La cosa fondamentale è che compare la richiesta
di alloggi, la richiesta di lavoro, ma anche la richiesta d’integrazione nel sistema.
Ecco, questi elementi fanno dire che oggi più che mai i giovani del Maghreb vogliono
restare nel proprio Paese, per poter dire la loro, per avere voce in capitolo.
D.
- E’ una situazione che può rientrare in tempi brevi, o è l’inizio di una crisi che
potrebbe essere anche lunga?
R. - In entrambi i Paesi, ma soprattutto
in Tunisia, la repressione è molto forte: c’è una grossa sorveglianza da parte del
potere. Negli anni scorsi questi cicli di rivolte non hanno poi avuto la possibilità
di continuare, proprio a causa della repressione forte, esercitata con tutti i mezzi.
D.
- Tu sei a Tunisi. Ecco, anche oggi si preannuncia come una giornata calda…
R.
- Sì, è stato un continuo di proteste; si è cercato in diversi modi di scoraggiare
la protesta popolare, soprattutto il suo dilagare. Credo che in questi giorni lo scontento
si stia manifestando forse più intensamente rispetto alla storia recente del Paese,
proprio per questo generale rifiuto da parte di un sistema che non concede alcuna
libertà di espressione e non prevede alcuna possibilità d’interlocuzione con il potere.
(ma)