2011-01-05 14:31:13

Oltre 20mila persone in fuga dalla Costa d'Avorio: molti i bambini


Sono oltre 20mila le persone in fuga dalle violenze in Costa d’Avorio, arrivano quasi tutte dai villaggi dell’ovest del Paese, si rifugiano in Liberia, e metà sono bambini, costretti a vivere molto spesso separati dalle famiglie di origine. “I bambini soffriranno più di tutti se la situazione non migliora”: denuncia dalla Costa d’Avorio l’organizzazione Save the Children che avverte come anche la Liberia sia ormai sotto pressione: non vi sono ripari, mancano acqua potabile e cibo, strutture mediche e scuole per bambini. Francesca Sabatinelli ha intervistato Emanuela Salvatori, di Save the Children Italia.RealAudioMP3

R. - Questo flusso purtroppo continua e ci allarma molto perché in queste situazioni i bambini possono ritrovarsi separati dalle proprie famiglie ed essere quindi doppiamente esposti a rischi di violenza, di abusi. La situazione che questi bambini e le rispettive famiglie si lasciano alle spalle è già una situazione molto difficile. Teniamo presente che sono circa due mesi che il Paese vive una condizione di instabilità, di insicurezza e, dunque, la popolazione è già fortemente provata. Dal punto di vista delle condizioni quotidiane di vita si registrano crescenti difficoltà, per cui l’approvvigionamento di alimenti - alimenti base - è diventato difficile e i prezzi sono già alle stelle: un chilo di carne costa più di un euro. Teniamo conto che metà della popolazione ivoriana vive con circa un dollaro e mezzo al giorno.

D. – Save the children, che è presente in Costa d’Avorio, sta lanciando l’allarme anche per il sovraffollamento delle comunità e dei villaggi, che stanno accogliendo queste persone in Liberia...

R. – Certo. Il problema è che già in Liberia la condizione delle persone non è delle più semplici. Le comunità, dunque, si trovano ulteriormente appesantite anche dalle esigenze, dai bisogni minimi, di base di questo flusso di persone in arrivo. C’è, quindi, necessità di tutto - di rifugi, di stuoie su cui dormire, di cibo - e tutto questo non viene in questo momento garantito adeguatamente.

D. – Sempre la vostra organizzazione dalla Costa d’Avorio denuncia anche il fatto che molti di questi bambini si sono ritrovati a dover lavorare...

R. – Sì e questa è una situazione che si presenta regolarmente in questi casi, perché è chiaro che per fare fronte alle esigenze minime di sopravvivenza, i bambini iniziano a lavorare e questo semplicemente per nutrire sé e le proprie famiglie. Laddove i bambini sono soli, sono separati, il coinvolgimento anche in attività può diventare anche rischioso: i bambini soli sono, comunque, bambini molto più esposti a situazioni di violenza. Quello che noi stiamo facendo, come Save the children, in questo momento, soprattutto nell’Ovest del Paese da cui origina il flusso di rifugiati, è di trasmettere tre volte al giorno, in questi villaggi, una serie di messaggi, in cui noi ci rivolgiamo ai bambini, dicendo loro: “Ricordatevi, tenete a mente il vostro nome, il nome dei vostri genitori, il nome del vostro villaggio, nel caso in cui vi trovaste soli e doveste chiedere aiuto per ricongiungervi ai vostri familiari”. Allo stesso tempo, inviamo dei messaggi alle famiglie, in cui diciamo: “Restate uniti, non disperdetevi e laddove i bambini fossero già altrove controllate e cercate di tenervi collegati a loro”.

D. – In che modo Save the children invia questi messaggi?

R. – Attraverso le radio locali. Utilizziamo spesso le lingue come lo yoruba. E, quindi, non il francese, perché teniamo conto che un’alta percentuale, sia dei bambini che degli adulti, sono analfabeti e non potrebbero comprendere, dunque, messaggi veicolati per iscritto. D’altra parte, i mezzi televisivi, in questo momento, non garantiscono un’informazione equidistante e corretta.(ap)







All the contents on this site are copyrighted ©.