Oltre 20mila persone in fuga dalla Costa d'Avorio: molti i bambini
Sono oltre 20mila le persone in fuga dalle violenze in Costa d’Avorio, arrivano quasi
tutte dai villaggi dell’ovest del Paese, si rifugiano in Liberia, e metà sono bambini,
costretti a vivere molto spesso separati dalle famiglie di origine. “I bambini soffriranno
più di tutti se la situazione non migliora”: denuncia dalla Costa d’Avorio l’organizzazione
Save the Children che avverte come anche la Liberia sia ormai sotto pressione: non
vi sono ripari, mancano acqua potabile e cibo, strutture mediche e scuole per bambini.
Francesca Sabatinelli ha intervistato Emanuela Salvatori, di Save the
Children Italia.
R. - Questo
flusso purtroppo continua e ci allarma molto perché in queste situazioni i bambini
possono ritrovarsi separati dalle proprie famiglie ed essere quindi doppiamente esposti
a rischi di violenza, di abusi. La situazione che questi bambini e le rispettive famiglie
si lasciano alle spalle è già una situazione molto difficile. Teniamo presente che
sono circa due mesi che il Paese vive una condizione di instabilità, di insicurezza
e, dunque, la popolazione è già fortemente provata. Dal punto di vista delle condizioni
quotidiane di vita si registrano crescenti difficoltà, per cui l’approvvigionamento
di alimenti - alimenti base - è diventato difficile e i prezzi sono già alle stelle:
un chilo di carne costa più di un euro. Teniamo conto che metà della popolazione ivoriana
vive con circa un dollaro e mezzo al giorno.
D. – Save the children,
che è presente in Costa d’Avorio, sta lanciando l’allarme anche per il sovraffollamento
delle comunità e dei villaggi, che stanno accogliendo queste persone in Liberia...
R.
– Certo. Il problema è che già in Liberia la condizione delle persone non è delle
più semplici. Le comunità, dunque, si trovano ulteriormente appesantite anche dalle
esigenze, dai bisogni minimi, di base di questo flusso di persone in arrivo. C’è,
quindi, necessità di tutto - di rifugi, di stuoie su cui dormire, di cibo - e tutto
questo non viene in questo momento garantito adeguatamente.
D. – Sempre
la vostra organizzazione dalla Costa d’Avorio denuncia anche il fatto che molti di
questi bambini si sono ritrovati a dover lavorare...
R. – Sì e questa
è una situazione che si presenta regolarmente in questi casi, perché è chiaro che
per fare fronte alle esigenze minime di sopravvivenza, i bambini iniziano a lavorare
e questo semplicemente per nutrire sé e le proprie famiglie. Laddove i bambini sono
soli, sono separati, il coinvolgimento anche in attività può diventare anche rischioso:
i bambini soli sono, comunque, bambini molto più esposti a situazioni di violenza.
Quello che noi stiamo facendo, come Save the children, in questo momento, soprattutto
nell’Ovest del Paese da cui origina il flusso di rifugiati, è di trasmettere tre volte
al giorno, in questi villaggi, una serie di messaggi, in cui noi ci rivolgiamo ai
bambini, dicendo loro: “Ricordatevi, tenete a mente il vostro nome, il nome dei vostri
genitori, il nome del vostro villaggio, nel caso in cui vi trovaste soli e doveste
chiedere aiuto per ricongiungervi ai vostri familiari”. Allo stesso tempo, inviamo
dei messaggi alle famiglie, in cui diciamo: “Restate uniti, non disperdetevi e laddove
i bambini fossero già altrove controllate e cercate di tenervi collegati a loro”.
D.
– In che modo Save the children invia questi messaggi?
R. – Attraverso
le radio locali. Utilizziamo spesso le lingue come lo yoruba. E, quindi, non il francese,
perché teniamo conto che un’alta percentuale, sia dei bambini che degli adulti, sono
analfabeti e non potrebbero comprendere, dunque, messaggi veicolati per iscritto.
D’altra parte, i mezzi televisivi, in questo momento, non garantiscono un’informazione
equidistante e corretta.(ap)