Afghanistan: 2010, l'anno più sanguinoso. A Roma i funerali dell'alpino Matteo Miotto
Si sono svolti a Roma presso la Basilica di Santa Maria degli Angeli i funerali solenni
del caporal maggiore degli alpini Matteo Miotto, ucciso in Afghanistan da un cecchino
lo scorso 31 dicembre. Presenti le più alte cariche dello Stato e una rappresentanza
di tutte le forze armate. Intanto, secondo i dati diffusi oggi dal governo di Kabul,
il 2010 è stato l’anno più sanguinoso dall’inizio della guerra nel Paese asiatico.
Il servizio di Cecilia Seppia:
Sono soldati,
poliziotti, guardie private, civili, tra cui donne e bambini e anche talebani le 9381
persone morte nel 2010 in Afghanistan, vittime di una guerra feroce e sanguinosa che,
secondo i dati diffusi oggi dal governo di Kabul, sembra intensificarsi e non risparmiare
nessuno. Anche per le truppe straniere quello appena concluso è stato l’anno peggiore:
710 militari caduti, uno dopo l’altro, per difendere la pace e assicurare la stabilità,
contro i 529 del 2009; tra questi anche 13 italiani. Cosa sta succedendo dunque nel
Paese asiatico? Andrea Margelletti del Centro Studi Internazionali:
“Sta
succedendo che vediamo il prezzo di una guerra sanguinosa, combattuta contro un nemico
capace, determinato e che ha una chiara e lineare strategia politica. Chi si aspettava
un’operazione di peacekeeping in stile balcanico, si sta accorgendo quanto invece
sia drammaticamente diversa la realtà nella nazione centroasiatica. Il vero punto
è che purtroppo i talebani o, più generalmente, gli insorti si rendono conto che le
cose per loro stanno volgendo al meglio, anche grazie alle divisioni all’interno della
coalizione internazionale su come affrontare la strategia politica, e quindi hanno
poca voglia di dialogare al tavolo della pace. Abbiamo perso molto, moltissimo tempo
cercando di avere una soluzione solo militare. Le soluzioni nella guerra insurrezionale
sono esclusivamente di carattere politico”.
Oggi a Roma, presso la Basilica
di Santa Maria degli Angeli sono stati celebrati i funerali solenni di Matteo Miotto,
il caporal maggiore ucciso in Afghanistan, nella valle del Gullistan da un cecchino,
lo scorso 31 dicembre. Tra le autorità, il premier Berlusconi, il ministro della Difesa
La Russa, molti leader ed esponenti del mondo politico istituzionale, centinaia di
persone, giunte per dare l’ultimo saluto ad un ragazzo che come ha detto mons. Vincenzo
Pelvi, ordinario militare per l’Italia, nella sua omelia, “ha sempre creduto nella
giustizia, nella verità e nella forza interiore della compassione, fino a dare la
vita per la pace”:
“Di fronte alle minacciose tensioni del momento,
specialmente alle discriminazioni, ai soprusi, alle intolleranze religiose, Matteo
invita a non cedere allo sconforto, alla rassegnazione. Come poter credere ad un domani
di pace, se non fossimo in quelle terre a dichiarare che l’amore è l’unica via che
pone fine alla vendetta, alle uccisioni?”.
Intanto in Italia non si
placa la polemica politica: restare sul terreno nonostante il tributo di sangue che
il Paese sta pagando in termini di vite umane, oppure pensare ad una veloce exit-strategy?
(gf)