2011-01-02 14:00:08

Le sfide per la presidenza ungherese dell’Ue


Con l’anno nuovo è arrivato anche il passaggio di consegne tra Belgio ed Ungheria alla presidenza dell’Unione Europea. Bruxelles, dopo una gestione difficile a causa della crisi del suo governo, passa il testimone a Budapest, che si appresta ad affrontare importanti questioni, come la prima modifica del Trattato di Lisbona per la creazione del meccanismo permanente salva-Stati. Ma quali sono stati i traguardi più importanti raggiunti nel 2010? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Federiga Bindi, docente di Integrazione Politica Europea all’Università Tor Vergata di Roma:RealAudioMP3

R. - E’ stato un anno di luci ed ombre. Di luci, perché la presidenza dell’Unione - nella persona Herman Van Rompuy - ha lavorato molto bene e con più efficacia di quanto ci si potesse aspettare all’inizio e quindi la scelta della persona si è certamente rivelata utile; di ombre, perché creare invece un servizio esterno e di fatto una diplomazia europea richiede del tempo e né gli europei né la nostra controparte maggiore - gli Stati Uniti - si erano resi conto di quanto tempo sarebbe stato necessario.

D. - La presidenza ungherese inizia tra mille polemiche, ultima quella sulla nuova legge sui media definita dall’Ocse una “minaccia per la libertà di stampa”. Secondo lei, Budapest sarà in grado di assolvere tutte le sue funzioni?

R. - Da una parte, i problemi domestici diminuiscono l’efficacia di una presidenza e questo si è visto anche quando l’Italia - ad esempio - aveva la presidenza ed era nel pieno delle elezioni; d’altra parte, c’è da dire che con il Trattato di Lisbona la presidenza ha un’importanza meno strategica rispetto a quando avveniva nel passato, anche perché il grosso dei negoziati viene svolto dal presidente dell’Unione. Secondo me, quindi, i problemi interni ungheresi saranno meno rilevanti ai fini europei di quanto non potrebbe essere stato nel passato.

D. - L’Unione Europea dovrà affrontare ovviamente ancora la crisi economica che la attanaglia mentre l’Estonia adotta l’euro…

R. - Secondo me porta assolutamente benefici: uno, perché l’Estonia è uno Stato piccolo ma con un’economia che va bene almeno in termini comparativi; due, perché in un momento in cui alcuni - irresponsabilmente - parlano di una possibile fine dell’euro, l’ingresso del’’Estonia dimostra che continua ad esserci una fiducia nell’euro, tant’è che nuovi Stati entrano; la terza cosa molto interessante è che entra un Paese strettamente legato alla Svezia, dove - come si sa - era stata decisa prima l’entrata, fermata poi per via referendaria. Sarà ora interessante vedere se, a questo punto, gli svedesi cominceranno a ripensarci.

D. - L’Europa sta volgendo sempre più lo sguardo ai Balcani, assegnando al Montenegro - ad esempio - lo status di Paese candidato. Ma questo cammino potrà proseguire anche per gli altri Stati dell’ex Jugoslavia?

R. - Io auspico assolutamente di sì! Abbiamo pubblicato un libro quest’anno in cui facciamo il bilancio della politica estera europea e quello che emerge chiaramente è che il settore della politica europea che ha avuto veramente successo è l’allargamento. L’Europa ha un “leverage” nel momento in cui può promettere l’adesione e in nome dell’adesione sono stati fatti grandi passi avanti, via via, nei vari Paesi candidati. Quindi è importante anche per quei Paesi che ancora non hanno lo status di candidato, di averlo: questo permetterebbe, da entrambe le parti, di poter spingere per fare gli ultimi passaggi verso una piena democrazia ed un’economia di mercato che sono necessari. D’altra parte, però, questa è una zona tuttora instabile e proprio per questo non dobbiamo svendere le adesioni - quello no! - ma la prospettiva di adesione può servire, pian piano, a tranquillizzare la situazione. (mg)







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