Con l’anno nuovo è arrivato anche il passaggio di consegne tra Belgio ed Ungheria
alla presidenza dell’Unione Europea. Bruxelles, dopo una gestione difficile a causa
della crisi del suo governo, passa il testimone a Budapest, che si appresta ad affrontare
importanti questioni, come la prima modifica del Trattato di Lisbona per la creazione
del meccanismo permanente salva-Stati. Ma quali sono stati i traguardi più importanti
raggiunti nel 2010? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Federiga Bindi,
docente di Integrazione Politica Europea all’Università Tor Vergata di Roma:
R. - E’ stato
un anno di luci ed ombre. Di luci, perché la presidenza dell’Unione - nella persona
Herman Van Rompuy - ha lavorato molto bene e con più efficacia di quanto ci si potesse
aspettare all’inizio e quindi la scelta della persona si è certamente rivelata utile;
di ombre, perché creare invece un servizio esterno e di fatto una diplomazia europea
richiede del tempo e né gli europei né la nostra controparte maggiore - gli Stati
Uniti - si erano resi conto di quanto tempo sarebbe stato necessario.
D.
- La presidenza ungherese inizia tra mille polemiche, ultima quella sulla nuova legge
sui media definita dall’Ocse una “minaccia per la libertà di stampa”. Secondo lei,
Budapest sarà in grado di assolvere tutte le sue funzioni?
R. - Da una
parte, i problemi domestici diminuiscono l’efficacia di una presidenza e questo si
è visto anche quando l’Italia - ad esempio - aveva la presidenza ed era nel pieno
delle elezioni; d’altra parte, c’è da dire che con il Trattato di Lisbona la presidenza
ha un’importanza meno strategica rispetto a quando avveniva nel passato, anche perché
il grosso dei negoziati viene svolto dal presidente dell’Unione. Secondo me, quindi,
i problemi interni ungheresi saranno meno rilevanti ai fini europei di quanto non
potrebbe essere stato nel passato.
D. - L’Unione Europea dovrà affrontare
ovviamente ancora la crisi economica che la attanaglia mentre l’Estonia adotta l’euro…
R.
- Secondo me porta assolutamente benefici: uno, perché l’Estonia è uno Stato piccolo
ma con un’economia che va bene almeno in termini comparativi; due, perché in un momento
in cui alcuni - irresponsabilmente - parlano di una possibile fine dell’euro, l’ingresso
del’’Estonia dimostra che continua ad esserci una fiducia nell’euro, tant’è che nuovi
Stati entrano; la terza cosa molto interessante è che entra un Paese strettamente
legato alla Svezia, dove - come si sa - era stata decisa prima l’entrata, fermata
poi per via referendaria. Sarà ora interessante vedere se, a questo punto, gli svedesi
cominceranno a ripensarci.
D. - L’Europa sta volgendo sempre più lo
sguardo ai Balcani, assegnando al Montenegro - ad esempio - lo status di Paese candidato.
Ma questo cammino potrà proseguire anche per gli altri Stati dell’ex Jugoslavia?
R.
- Io auspico assolutamente di sì! Abbiamo pubblicato un libro quest’anno in cui facciamo
il bilancio della politica estera europea e quello che emerge chiaramente è che il
settore della politica europea che ha avuto veramente successo è l’allargamento. L’Europa
ha un “leverage” nel momento in cui può promettere l’adesione e in nome dell’adesione
sono stati fatti grandi passi avanti, via via, nei vari Paesi candidati. Quindi è
importante anche per quei Paesi che ancora non hanno lo status di candidato, di averlo:
questo permetterebbe, da entrambe le parti, di poter spingere per fare gli ultimi
passaggi verso una piena democrazia ed un’economia di mercato che sono necessari.
D’altra parte, però, questa è una zona tuttora instabile e proprio per questo non
dobbiamo svendere le adesioni - quello no! - ma la prospettiva di adesione può servire,
pian piano, a tranquillizzare la situazione. (mg)