Liberata in Iraq la ragazza cristiana rapita a Mosul. Il nuovo nunzio: riparte la
speranza
In Iraq le forze speciali hanno liberato questa mattina una studentessa cristiana
di 21 anni, Rubila Aziz. E' quanto rendono noto fonti locali aggiungendo che la ragazza
era stata sequestrata lo scorso 15 dicembre da un gruppo di uomini armati a Mosul.
Sempre a Mosul, nel nord del Paese, almeno 4 persone sono morte in seguito ad un attacco
kamikaze compiuto contro il quartier generale della polizia. In Iraq, intanto, il
Natale è trascorso senza celebrazioni di mezzanotte in diverse città e con le chiese
blindate per nuove minacce di Al Qaeda contro la piccola, e sempre meno numerosa,
comunità cristiana. Ma, nonostante questo, la festa per la venuta del Signore ha riacceso
la speranza. E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco, l’arcivescovo
Giorgio Lingua, da poche settimane insediatosi come nunzio apostolico in Iraq:
R. – Negli
ultimi quattro-cinque anni, le Messe di Mezzanotte non si sono più celebrate in diverse
città irachene per ragioni di sicurezza. Il resto delle funzioni si sono svolte regolarmente,
con grandi misure di sicurezza davanti a tutte le chiese e la partecipazione è stata
discreta. Qui a Baghdad, un po’ meno degli altri anni per ovvie ragioni: dopo l’attentato
del 31 ottobre scorso, molti cristiani sono andati via. Ma la partecipazione è stata
comunque superiore alle attese; c’era un po’ di apprensione alla Vigilia, ma il Natale
si è svolto regolarmente, e così è nata anche un po’ di speranza. Si ha l’impressione
che ci si possa riprendere …
D. – Dunque ci si può riprendere… Ma quelli
che i terroristi definiscono “bersagli legittimi” – parliamo di cristiani – sono ormai
circa 400 – 600 mila. Prima della guerra, i cristiani erano oltre un milione e 400
mila. Come arginare questa emorragia e favorire, invece, un ritorno dei cristiani
iracheni nella loro terra?
R. – Occorre che i cristiani si sentano tranquilli,
e poi che si dia loro la possibilità di trovare un lavoro. Quindi, una serie di misure
che devono essere prese dal nuovo governo che finora, soprattutto in occasione del
Natale, ha dimostrato di voler fare di tutto per garantire la sicurezza ai cristiani.
Questo può rasserenarli e far sì che non si sentano costretti ad abbandonare il Paese.
D.
– Qual è il compito del nuovo governo iracheno, ancora alle prese con le drammatiche
eredità del regime di Saddam, della guerra, del terrorismo?
R. – E’
un compito molto arduo, perché nel Paese circolano ancora tante armi e ci sono tanti
gruppi che sono ancora insoddisfatti per gli avvenimenti che si sono succeduti in
questi anni. La minaccia terroristica esiste e non è facile fermarla, ma io credo
che con il tempo si possa mettere fine ad ogni gruppo terroristico. Certamente l’Iraq
è un Paese che è stato duramente provato, con tante ferite che non sarà facile rimarginare.
Ci vorrà del tempo. Persone che prima non avevano problemi si sono trovate ora di
colpo ad essere gli uni contro gli altri. Io credo che sia molto importante che rinasca
la fiducia, che si incominci a fidarsi del prossimo, del vicino. I cristiani, in questo
contesto, sono i più deboli e non possono fare altro che fidarsi degli altri.
D.
– I cristiani, dunque, in Iraq sono vulnerabili. Ma quale contributo può dare proprio
la comunità cristiana a questo Stato iracheno, così sofferente?
R. –
Penso che debba fare ciò che ha sempre fatto, cioè vivere la sua vita onestamente,
lavorando, dando per prima testimonianza di tolleranza. Mi sembra che i cristiani
siano apprezzati proprio per questa loro onestà. Desiderano essere rispettati e devono
esserlo. Credo che questa testimonianza possa essere il contributo migliore dei cristiani
alla ricostruzione di questo Paese.
D. – Quale esortazione intende rivolgere
agli ascoltatori?
R. – Continuate a pregare per i cristiani di questo
Paese e perché l’Iraq ritorni ad essere un luogo di tutti i cittadini, indipendentemente
dalla fede religiosa o dal gruppo etnico cui appartengono. (gf)