Nuovi scontri in Nigeria dopo gli attacchi alle chiese
Proseguono le violenze in Nigeria: oggi, nella città di Jos, che segna il confine
tra il nord a maggioranza musulmana e il sud prevalentemente cristiano, si registrano
nuovi scontri tra le due comunità: almeno una persona è morta e molti edifici sono
stati dati alle fiamme. Le violenze fanno seguito ai recenti attacchi anticristiani
che hanno fatto almeno 38 morti: sono infatti sei le vittime degli assalti di estremisti
islamici, nella notte di Natale, contro alcune chiese a Maiduguri, nel nord-est del
Paese. Tra i morti, anche un sacerdote. A Jos sono almeno 32 le vittime in seguito
al lancio di sette bombe alla vigilia di Natale. Diversi esponenti delle istituzioni
escludono tuttavia la matrice religiosa degli attacchi, che avrebbero invece un obiettivo
politico volto a creare “un clima d’instabilità” in vista delle presidenziali in programma
per il prossimo aprile. Per un’analisi della situazione Marco Guerra ha raccolto
il commento di padre Giulio Albanese, direttore di Popoli e Missione, rivista
delle Pontificie Opere Missionarie:
R. - Si
tratta di una vecchia storia: non fosse altro perché in Nigeria questi fatti di cronaca
nera sono molto frequenti. Nel 2010, centinaia di persone hanno perso la vita a causa
di scontri che hanno certamente una valenza “religiosa”, ma anche per certi versi
legata alla questione etnica e direi soprattutto alla questione economica e politica.
Non dimentichiamo che in questo momento il potere centrale, quello del governo federale
di Abuja, è molto debole e vi è una crisi economica che penalizza soprattutto i ceti
meno abbienti. A questo si aggiunga il fatto che, comunque, in ogni caso c’è una rivalità
anche tra comunità islamiche e comunità cristiane. Quando parliamo di comunità cristiane,
dobbiamo però precisare che la Nigeria è uno dei Paesi in Africa con il più alto numero
di “independent churches”, ovvero sette che hanno spesso una caratterizzazione abbastanza
integralista. Da questo punto di vista è importante non dividere lo scenario tra buoni
e cattivi, ma è necessario capire che il contesto della Nigeria è davvero estremamente
complesso.
D. - In vista delle presidenziali di aprile, bisogna attendersi
un’escalation di queste violenze?
R. - Non è da escludere, perché -
come dicevo prima - il potere centrale, quello cioè del governo federale di Abuja,
è un potere molto debole e dunque i vari Stati e i vari governatorati, in una maniera
o nell’altra, tendono a portare l’acqua al proprio mulino. A questo si aggiunga il
fatto che proprio perché la Nigeria galleggia sul petrolio, ci sono dei poteri - più
o meno occulti - legati al business del petrolio che utilizzano l’arma degli scontri
proprio per indebolire lo stato di diritto.
D. - L’attacco alle Chiese
è avvenuto nel nord del Paese a maggioranza musulmana… In generale è garantita la
libertà religiosa in Nigeria?
R. - Formalmente sì, anche perché la Nigeria
- è bene rammentarlo - non è una Repubblica islamica, come invece molto volte si pensa,
ma è uno Stato federale. Il dettato costituzionale, la massima legge dello Stato,
ha una valenza laica che difende l’autonomia delle varie comunità religiose e, dunque,
la libertà di esprimere la propria fede. Purtroppo, però, in questi anni sono stati
commessi una serie di errori: ai tempi del presidente Olusegun Obasanjoè stata
concessa negli Stati del Nord l’applicazione della sharia. Naturalmente tutto questo
è motivo di grande tensione.
D. - E’ possibile una vera pacificazione
tra le diverse anime del Paese, soprattutto fra quella cristiana e quella musulmana?
R.
- E’ un discorso, questo, che non riguarda solo le comunità musulmane e quelle cristiane.
Direi che riguarda, in senso lato, l’intera società civile nigeriana: c’è bisogno
di giustizia sociale! Credo che questo sia l’unico deterrente per ridare speranza
alla gente, in un Paese in cui l’uno per cento della popolazione detiene oltre l’80
per cento della ricchezza nazionale. La responsabilità ricade naturalmente - innanzitutto
e soprattutto - sulle classi dirigenti, che molte volte seguono delle logiche clientelari,
acuendo così la divaricazione tra i ceti, tra i ricchi e i poveri. (mg)