Nuova massiccia ondata di esercitazioni militari della Corea del Sud
La Corea del Sud ha annunciato di aver dato inizio alla più massiccia esercitazione
militare marina e terrestre a ridosso del confine con la Corea del Nord. Questa nuova
ondata di manovre militari navali, aeree e terrestri segue di due giorni una breve
esercitazione di artiglieria sudcoreana sull'isola di Yeonpyeong, che il 23 novembre
scorso fu cannoneggiata dai nordcoreani causando quattro morti. Il servizio di Fausta
Speranza:
Nell’ambito
delle operazioni di questi giorni, è annunciata per domani la più grande esercitazione
militare terrestre della storia della Corea del Sud. Si terrà a soli circa 25 chilometri
dalla frontiera con la Corea del Nord. Oggi, l’esercitazione navale si tiene a 100
chilometri a sud del confine marittimo tra le due Coree, confine contestato da Pyongyang.
Dunque Seul continua a voler mostrare i muscoli. E i vertici militari fanno sapere
che la maggior parte dei mezzi meccanici userà vere munizioni”. Due giorni fa, in
occasione dell'esercitazione di artiglieria, Pyongyang aveva affermato che “non vale
la pena di reagire alle provocazioni”. E di questa nuova tornata di esercitazioni
finora la Corea del Nord non ha fatto parola. Si tratta, secondo gli osservatori,
di manovre volute da Seul per rassicurare l'opinione pubblica sudcoreana dopo l'attacco
di novembre e quello precedente in marzo contro la nave sudcoreana Cheonan, che causò
la morte di 46 marinai. Sul piano internazionale, c'è sullo sfondo la questione nucleare:
la Casa Bianca esprime scetticismo sulla possibilità di riprendere i colloqui a sei
finchè la Corea del Nord non avrà mostrato di voler rispettare i suoi obblighi e non
avrà messo fine alle sue azioni bellicose. E la Cina invita la Corea del Nord a dare
seguito al proprio impegno, espresso ieri al governatore del New Mexico, Bill Richardson,
di consentire agli ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea)
di tornare a controllare le installazioni nucleari di Yongbyon. Gli ispettori sono
stati cacciati nel 2009 da Pyongyang.
Resta incerta la sorte dei 250
profughi prigionieri nel deserto del Sinai Le condizioni dei 250 profughi eritrei
e di altre nazionalità, ostaggio di un gruppo di trafficanti di esseri umani che li
tengono prigionieri dal 24 novembre scorso nel deserto del Sinai egiziano, non sono
acnora chiare. Finora, sono otto i profughi uccisi perché non avrebbero potuto pagare
il riscatto richiesto per raggiungere Israele: quattro invece sarebbero quelli rilasciati.
Gli uomini si troverebbero in una sorta di accampamento-lager, del quale il governo
egiziano ha finora negato l'esistenza. Emanuela Campanile ne ha parlato con
Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite
per i Rifugiati:
R. – Novità
non ci sono, in quanto a noi le autorità egiziane hanno detto che si stanno occupando
del caso e stanno cercando queste persone. Però, non si è ancora riusciti a rintracciare
il luogo preciso. Certo, quello del Sinai è un territorio difficile.
D.
– Nel suo blog, riguardo a questi ostaggi, lei scrive:“Una realtà agghiacciante, tipica
dei nostri tempi, che non sembra interessare nessuno”...
R. – Sì, perché
quello che stiamo vedendo è che, di fatto, le persone che fuggono dai Paesi di origine
in cui ci sono i conflitti, che fuggono dalle dittature, si trovano davanti a una
realtà sempre più difficile: le strade sono tutte chiuse, interdette, e questa chiusura
genera di fatto un mercato fiorente per persone senza scrupoli, che su questo lucrano.
Tutto questo accade, però, senza che effettivamente si intervenga per interromperlo.
D.
– La comunità internazionale è latitante: è questo intende dire?
R.
– La comunità internazionale, ma anche l’opinione pubblica, non mi sembra sia stata
molto partecipe. Ora, noi siamo venuti a sapere di questi 250, ma sicuramente non
è la prima volta che persone in fuga si trovino poi nelle mani di bande senza scrupoli.
Eppure, tutto questo continua, come se non ci sia la volontà sufficiente per interrompere
questo mercato.(ap)
Ancora morti a Mogadiscio Nuovi scontri sono
scoppiati questa mattina a Mogadiscio, in Somalia, tra i ribelli islamici Al Shabaab
e le truppe del governo di transizione somalo (Tfg), supportate dai peacekeeper
Amisom, con almeno due morti e diversi feriti. Secondo le emittenti locali, che citano
testimoni, il bilancio delle vittime potrebbe essere più alto. I combattimenti sono
esplosi nel quartiere periferico di Bondhere, a nord della capitale, ma colpi di arma
da fuoco si sono sentiti provenire anche dalla zona della marina. Fonti mediche dei
diversi ospedali stanno dando assistenza a numerosi civili rimasti feriti.
Il
segretario generale dell'Onu chiede aiuti per la Costa d’Avorio Il segretario
generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha chiesto alla comunità internazionale
di fornire aiuti alle forze dell'Onu in Costa d'Avorio. Prendendo la parola dinanzi
all'Assemblea generale, Ban, e spiegando che i militari fedeli a Laurent Gbagbo stavano
tentando di isolare le forze dell'Onu, il capo del Palazzo di vetro si è detto “preoccupato,
perchè questi ostacoli ai rifornimenti destinati alla missione e all'Hotel du Golfe
(dove si trova il presidente eletto Alassane Ouattara) rischiano di mettere i nostri
caschi blu in una situazione critica nei prossimi giorni”. Il segretario generale
dell'Onu ha quindi lanciato “un appello vigoroso ai Paesi membri in grado di farlo
perchè si preparino ad appoggiare la missione inviando rifornimenti”, poichè “di fronte
a questa sfida diretta e inaccettabile nei confronti della legittimità delle Nazioni
Unite, la comunità internazionale non può restare con le mani in mano”. Intanto, la
Nigeria ha deciso di evacuare dalla Costa D'Avorio tutti i propri diplomatici, dopo
che la sua ambasciata ad Abidjan è stata attaccata. Lo ha detto ai giornalisti nella
capitale nigeriana Abuja il ministro degli Esteri nigeriano, Odein Ajumobobia. Il
ministro non ha precisato quando esattamente la sede diplomatica sia stata presa d'assalto
e se sia stata danneggiata.
Duri scontri nell'Afghanistan meridionale: uccisi
5 civili e 7 insorti Forze della coalizione internazionale e talebani si sono
impegnati in una dura battaglia nella provincia meridionale afghana di Helmand, che
ha causato la morte di cinque civili e di sette insorti. Tutto è cominciato, riferisce
l'agenzia di stampa Pajhwok, quando un commando di talebani ha attaccato ieri una
pattuglia della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto controllo
Nato) nel villaggio di Nizamuddin del distretto di Sangin. “Purtoppo - sostiene in
un comunicato l'ufficio del governatore di Helmand - cinque civili, tre donne e due
bambini, sono stati uccisi nella battaglia che ha portato al sequestro da parte dell'Isaf
di un ingente quantitativo di armi”. Su questa base, il governatore ha chiesto di
“tutelare l'incolumità dei civili negli scontri” alle forze guidate dalla Nato che
hanno annunciato l'apertura di una inchiesta.
L’appello del Custode di Terra
Santa per il Natale “Non rendiamo vano questo Natale”. È l’appello lanciato
da padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, nel messaggio per il Natale
2010. “È una festa – si legge nel testo – che ci porta “a vedere Dio in un bambino”,
a credere “in un Dio che sceglie di racchiudere la sua grandezza nella piccolezza
della nostra umanità”. Padre Pizzaballa esorta anche a guardare al Medio Oriente,
alla Terra di Gesù, con lo sguardo di Dio. Ascoltiamo il custode di Terra Santa intervistato
da Amedeo Lomonaco:
R. - Mi sono
rifatto al brano dell’omelia di Papa Benedetto XVI all’apertura del Sinodo. Molto
spesso quando parliamo di Terra Santa e di Medio Oriente, entriamo in disquisizioni
politiche, prospettive, dicerie, c’è un po’ di tutto… Sarebbe bene e sarebbe importante
darci invece anche una prospettiva diversa, che è quella di Dio: Dio che si fa carne,
che perdona, che dona misericordia e che soprattutto sa cambiare il cuore dell’uomo
perché ci crede.
D. - Un altro suo appello è di non rendere vano questo
ennesimo, ma sempre nuovo Santo Natale…
R. - Diciamo tante cose che
sono vere, ma molto spesso si corre il rischio di farle scivolare via… Il messaggio
del Natale è molto bello, è sempre lo stesso, ma è sempre nuovo: è Dio che ci ama.
D.
- Un augurio speciale dalla Terra Santa dal custode di Terra Santa…
R.
- Il mio augurio è che il Natale, che colma le attese di ogni uomo che incontra Dio
che si fa carne, sia anche un nuovo inizio per ciascuno di noi, per ogni uomo che
vede in Dio la pienezza di ogni nostra attesa. (mg)
Italia, studenti
ancora in piazza contro la riforma dell’Università Sono tornati oggi di nuovo
in piazza gli studenti italiani, a Roma e in tante città, in vista dell’approvazione
definitiva al Senato del ddl di riforma dell’Università. In alcuni casi, come a Milano
e a Palermo, si sono verificati scontri con le forze dell’ordine. A Roma, la manifestazione
non ha interessato questa volta il "triangolo del potere" - Camera-Senato-Palazzo
Chigi - ma altre zone della città. La protesta, che ha assunto spesso toni ironici
e fantasiosi, è stata sospesa in segno di solidarietà dopo la notizia della morte
di un operaio immigrato, a causa del crollo di un solaio nella Facoltà di Scienze
Politiche all'Università La Sapienza. Secondo quanto si apprende da qualificate fonti
del Quirinale, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è disposto a un
incontro con gli studenti che due giorni fa avevano indirizzato una lettera al capo
dello Stato, scritta dai collettivi studenteschi de La Sapienza, per chiedergli di
non firmare il ddl Gelmini. In uno dei passaggi cruciali della lettera si legge: "Se
porrà la Sua firma alla legge Gelmini, Lei sancirà la cancellazione del Diritto allo
Studio, uno dei diritti fondamentali della Costituzione intesa come patto fondante
della nostra società, che garantisce equità e democrazia". Alla notizia della disponibilità
di Napolitano gli studenti hanno esultato.
Arcipelago di Tonga, eletto un
nobile come premier Un mese dopo le prime elezioni semi-democratiche nella
piccola nazione-arcipelago di Tonga (121 mila abitanti), situata nel Pacifico, unica
monarchia nella Polinesia, è stato nuovamente eletto premier un nobile. Il partito
democratico aveva vinto 12 dei 17 seggi elettivi, ma altri 9 seggi restano riservati
alla nobiltà terriera, e il loro candidato, Lord SialèAtaonga Tùivakano, è stato eletto
premier con il sostegno dei cinque indipendenti. Quattro anni fa, il malcontento per
la lentezza delle riforme politiche era scoppiato in violente proteste nella capitale
Nukùalofa, quando centinaia di giovani erano scesi in strada, otto persone erano rimaste
uccise e dati alle fiamme molti edifici. Le ultime elezioni hanno segnato un passo
avanti nella transizione verso la democrazia. Per la prima volta, la maggioranza dei
parlamentari è stata eletta dal popolo invece di essere nominata dal re, George Tupou
V, i cui antenati unificarono l'arcipelago di 170 isole nel 1845. Il vecchio sistema
prevedeva che meno di un terzo, appena nove deputati, fossero eletti del popolo nella
Camera di 26 seggi. Nel nuovo parlamento, il loro numero è salito a 17.
Pechino
vieta la lingua inglese sui mass media L'Amministrazione generale per la stampa
e le pubblicazioni (Gapp), l'agenzia governativa cinese incaricata di controllare
il settore, citata dalla stampa, scrive che “le parole straniere mischiate con quelle
cinesi danneggiano gravemente la purezza della lingua cinese e turbano l'altrimenti
sano e armonioso ambiente culturale”. L'uso di alcune parole come “cool” (“forte”,
“alla moda”) o di abbreviazioni inglesi come Cpi (indice dei prezzi al consumo, la
misura dell'inflazione) o Gdp (Prodotto interno lordo) sono frequenti nella lingua
parlata cinese e sono largamente usati anche dalla stampa e nei libri, in particolare
in quelli di economia. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 356
E' possibile
ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino
del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.