Importanti accordi tra India e Russia anche sul nucleare: Medvedev in visita a New
Delhi
Il presidente russo Dmitri Medvedev è giunto oggi a New Delhi per una visita di due
giorni in cui si stipuleranno importanti accordi commerciali e non solo tra Russia
e India. Il primo impegno è per la costruzione da parte di Mosca di due reattori nucleari.
Il servizio di Fausta Speranza:
Valore: 30
miliardi di dollari, terreni di intesa: soprattutto difesa ed energia nucleare. L’India
accoglie il presidente russo per accordi commerciali che però hanno un respiro tale
da far dire al portavoce del ministero degli Esteri russo, Vishnu Prakash, che “non
si tratta di un mero accordo commerciale, poichè le parti cercano di sviluppare progetti
legati a ricerca, sviluppo e produzione congiunte”. E l’omologo indiano Krishna aggiunge:
fra gli argomenti che Medvedev tratterà nella sua visita, vi sono anche il terrorismo
e la situazione nella regione afghano-pachistana. Inoltre in uno dei primi comunicati
congiunti, a visita avviata, spunta anche la questione iraniana: i leader affermano
che India e Russia ritengono necessario realizzare “ogni possibile sforzo per trattare
la questione nucleare iraniana attraverso il dialogo ed il negoziato”. Aggiungono
che l'Iran “ha il diritto di sviluppare la ricerca, la produzione e l'uso dell'energia
nucleare per fini pacifici in conformità con i suoi obblighi internazionali”. Per
poi lanciare un appello a Teheran affinchè “rispetti le disposizioni al riguardo del
Consiglio di Sicurezza dell'Onu e cooperi pienamente con l'Aiea (l'Agenzia internazionale
per l'energia atomica, ndr)”. Resta da dire, avendo nominato l’Onu, che Medvedev ha
dichiarato oggi da New Delhi che la Russia è favorevole all'assegnazione all'India
di un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
In
Thailandia in scadenza lo stato d’emergenza in vigore da aprile Termina
domani in Thailandia lo stato d'emergenza in vigore a Bangkok e in tre province limitrofe,
decretato dalle autorità nell'aprile scorso, a seguito delle manifestazioni anti-governative
promosse dalle “camicie rosse” e represse violentemente, con un bilancio di 90 morti
e 1.900 feriti. Il provvedimento, che aveva inasprito i poteri delle forze di sicurezza,
era stato criticato dai difensori dei diritti dell'uomo e dall'opposizione. Sui motivi
delle proteste delle “camicie rosse”, Giada Aquilino ha intervistato Carlo
Filippini, esperto di sud est asiatico:
R. - Le “camicie
rosse” rappresentano gli strati della popolazione più povera e in particolare quella
rurale, che era stata molto beneficata dai precedenti governi guidati da Thaksin
Shinawatra, che fu estromesso dal colpo di Stato del settembre 2006. La ripetuta
estromissione di governi che avevano vinto le elezioni ha poi creato una situazione
di tensione e questi strati della popolazione si sono sentiti non più rappresentati
dal governo.
D. - In particolare, in cosa queste classi più povere
sono state penalizzate?
R. - I governi di Thaksin avevano approvato
tutta una serie di riforme, che avevano probabilmente alcuni aspetti negativi nel
medio e lungo periodo, ma che avevano anche agevolato: ad esempio la legge dei 30
baht - baht è la moneta thailandese, 50 baht valgono un Euro, tanto per intenderci
- in base alla quale chiunque poteva avere cure mediche pagando una somma molto bassa.
Certamente, Thaksin aveva anche utilizzato i metodi normali della politica in Thailandia
e questo significava, molte volte, corruzione o favoreggiamento degli affari di alti
imprenditori o delle famiglie a lui vicine.
D. - Lo stato d’emergenza
è stato tolto a Bangkok e in tre province limitrofe. Nei piani delle autorità c’è
comunque l’intenzione di imporre un atto per la sicurezza interna. Che misure potrebbero
essere?
R. - Molti Paesi, e non soltanto nel sudest asiatico ma in tutto
il mondo, hanno leggi che potremmo definire “leggi antiterrorismo”. L’Internal Security
Act thailandese è una legge che mira a combattere, a proibire e a punire comportamenti
violenti. In molti Paesi, queste leggi sulla sicurezza interna sono però utilizzate
per tenere a bada gli oppositori. (mg)
Terremoto nel sud-est dell’Iran:
almeno 7 vittime e alcuni villaggi distrutti Almeno sette persone sono rimaste
uccise e 24 ferite in un terremoto che ha colpito ieri sera il sud-est dell'Iran.
Lo riferisce l'agenzia Irna, sottolineando che il bilancio potrebbe però aggravarsi,
perchè numerosi villaggi hanno subito distruzioni tra il 20 e il 100 per cento. Il
sisma, di intensità 6,5 gradi sulla scala Richter, ha avuto il suo epicentro nei pressi
della città di Hosseinabad, nella provincia di Kerman, ed è avvenuto alle 22:12 ora
locale (le 19:42 in Italia). Nella provincia di Kerman si trova anche la città di
Bam, rasa al suolo nel dicembre del 2003 da un terremoto che provocò circa 30mila
morti. “Considerate le dimensioni dei danni, il numero dei morti sembra destinato
ad aumentare”, ha detto all'agenzia Irna il governatore generale della provincia,
Esmail Najjar. Le operazioni di soccorso sono ancora in corso, ha aggiunto Najjar,
per estrarre persone che sono rimaste intrappolate sotto le macerie. Il governatore
ha sottolineato che le case crollate erano fatte di creta essiccata e paglia, materiale
usato nelle tradizionali costruzioni delle zone rurali, mentre gli edifici costruiti
con strutture più moderne hanno retto. La scossa principale è stata seguita fino ad
ora da altre sei di assestamento, la più forte delle quali ha raggiunto i 4,3 gradi
sulla scala Richter.
Allarme bomba alla metro di Roma Allarme bomba
nella metro di Roma. Questa mattina, riferisce l’Atac – ripreso da fonti di agenzia
- un operatore ha rinvenuto presso la stazione della metropolitana linea B di Rebibbia
un oggetto sospetto all'interno di un vagone. Sono state immediatamente allertate
le Forze dell'Ordine e i Vigili del Fuoco, che, intervenuti sul posto, hanno provveduto
ad isolare l'area. Dal canto suo, il sindaco capitolino Gianni Alemanno ha affermato
che il rudimentale ordigno non era in grado di esplodere.
A Parigi mobilitazione
per Panahi, il regista iraniano condannato a 6 anni di prigione Parte da Parigi
la mobilitazione del mondo del cinema e degli intellettuali a favore del cineasta
iraniano Jafar Panahi, condannato ieri dal tribunale di Teheran a sei anni di prigione
e al divieto di realizzare film e di lasciare il Paese almeno per i prossimi vent'anni.
La sentenza è stata condannata in primo luogo dal ministro della Cultura francese,
Frederic Mitterrand, che parla di “pseudo-giudizio”. Il ministro si è dichiarato “vigorosamente
contro questo attacco inaccettabile alla libertà di pensiero e di creazione artistica”
e chiede che “vi venga messa fine immediatamente”. Contro il verdetto proclamato ieri
e divulgato dall'avvocato di Panahi, Farideh Gheirat, si schiera anche il mondo intellettuale
e del cinema francese. Il filosofo Bernard-Henri Levy sostiene che il cineasta sia
stato condannato “perchè sospettato di voler realizzare un film sul movimento verde,
l'opposizione che si è organizzata durante le elezioni iraniane del 2009. Il suo solo
crimine - ha detto il filosofo - è di aver appoggiato Hossein Mussavi, capo dell'opposizione”.
Da parte sua, il delegato generale del festival di Cannes, Thierry Fremaux, che aveva
simbolicamente lasciato un posto vuoto per Panahi tra i giurati dell'ultima edizione,
ha lanciato un appello ad “agire rapidamente” e sta organizzando un comitato di sostegno
al cineasta, con la collaborazione della Società degli autori e compositori drammatici
presieduta dal regista Bertrand Tavernier e della Cinematheque francaise di
Parigi. “Alla fine della sua prima detenzione, l'anno scorso, Jafar Panahi - ha ricordato
Fremaux - ci aveva fatto sapere a che punto il sostegno arrivato dall'estero gli era
stato prezioso”.
Nel 2010 sono ormai più di 700 i soldati della coalizione
uccisi in Afghanistan Il numero di soldati della coalizione uccisi in Afghanistan
dal primo gennaio del 2010, che già lo scorso anno era stato il più alto dall'inizio
del conflitto nel 2001, ha superato il limite di 700, secondo i dati riportati dal
sito indipendente icasualties.org. Secondo il sito, al 21 dicembre, il conflitto ha
fatto dall'inizio del 2010 un totale di 701 morti tra i ranghi delle truppe internazionali
che compongono la coalizione condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan. Il 2009, con
521 morti, era già stato, di gran lunga, l'anno più sanguinoso per le truppe internazionali,
trovatesi ad affrontare, da tre anni, una considerevole intensificazione della ribellione
dei talebani.
Ancora disordini e almeno 12 morti in Sudan Almeno
12 persone sono morte in quello che senza dubbio sembra essere stato un nuovo confronto
militare tra forze appartenenti all'Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese (Spla),
la milizia del sud Sudan e un gruppo armato fedele al generale George Athor, un ufficiale
della Spla ammutinato. All'inizio di questo mese, il presidente del sud Sudan Salva
Kiir Mayardit, aveva tenuto un incontro con diverse personalità politiche e religiose
per risolvere la questione dei ribelli. Lo scorso ottobre Kiir aveva garantito un'amnistia
ad Athor ed ai suoi soldati per una riunificazione delle forze del sud in vista del
referendum del 9 gennaio prossimo che dovrebbe sancire o meno l'indipendenza dal nord.
Athor si era ammutinato con i suoi militari dopo essere stato sconfitto alle elezioni
di aprile, quando si era presentato come governatore della regione petrolifera di
Jonglei e aveva accusato ufficiali del Movimento per la Liberazione del Popolo Sudanese
(Splm) di frode. Intanto l'Unione europea ha annunciato l'invio di una delegazione
di 110 osservatori in Sudan in vista del referendum del 9 gennaio prossimo che riguarderà
le regioni del sud.
Il presidente dell’Ue raccomanda misure contro il debito
ai Paesi della zona euro I Paesi della zona Euro devono attenersi a criteri
finanziari più severi possibile e trovare una soluzione al problema dell'indebitamento.
Lo ha detto il presidente dell'Ue Herman von Rompuy, parlando oggi all'Accademia delle
Scienze a Budapest. Tracciando un quadro complessivo sulla situazione dell'Ue, van
Rompuy ha detto che l'Europa dovrà comportarsi da pioniere nella ricerca scientifica
e nell'innovazione tecnologica per incentivare i giovani scienziati europei a rimanere
a casa, ma assicurando loro al contempo libera circolazione dentro l'Unione. Rompuy
ha anche ricordato che la presidenza ungherese dal gennaio prossimo avrà fra le sue
priorità la questione dell'avvicinamento dei Balcani all'Ue.
Condanna all’Italia
per la giustizia troppo lenta dalla Corte europea dei diritti La Corte europea
dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha oggi emesso una maxi condanna nei confronti
dell'Italia per i ritardi con cui vengono pagati gli indennizzi legati alla lentezza
dei processi. I giudici di Strasburgo hanno infatti reso noto di aver adottato 475
sentenze che danno ragione ad altrettanti ricorsi presentati da soggetti che hanno
dovuto attendere dai 9 mesi ai quattro anni per incassare il risarcimento che gli
era stato riconosciuto, in base alla legge Pinto, per l'eccessiva lunghezza del processo.
A
Roma oggi i funerali di Tommaso Padoa-Schioppa Funerali stamane a Roma nella
Basilica di Santa Maria degli Angeli per l'ex ministro dell'Economia italiano, Tommaso
Padoa-Schioppa. Alla cerimonia presenti, tra gli altri, il sottosegretario alla presidenza
del Consiglio, Gianni Letta, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, il governatore
della Banca d'Italia, Mario Draghi, e l'amministratore delegato della Fiat, Sergio
Marchionne, ed il presidente John Elkann. In chiesa tra gli altri anche il segretario
del Pd, Pier Luigi Bersani, l'ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, il presidente
del Copasir, Massimo D'Alema, l'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio.
Ieri ha fatto visita alla camera ardente, allestita nella sede della rappresentanza
dell’Ue a Roma, anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Di Tommaso
Padoa Schioppa in questi giorni sono stati ricordati tra l’altro la professionalità,
la competenza, la serietà, l’integrità morale.
Appello dell’Alto commissario
Onu per i diritti umani per i dissidenti bielorussi Preoccupata per la situazione
in Bielorussia, l'Alto commissario delle Nazione Unite per i diritti umani Navi Pillay
ha lanciato oggi a Ginevra un appello per l'immediata liberazione dei candidati dell'opposizione
e dei loro sostenitori non coinvolti nelle violenze, scoppiate dopo la rielezione
del presidente Alexander Lukashenko. Pur condannando ogni ricorso e ogni appello alla
violenza da parte di alcune fazioni radicali dell'opposizione, Pillay ha ricordato
il dovere delle autorità di rispettare il diritto dell'opposizione a manifestare pacificamente
e alla libertà di parola. “Sono molto preoccupata per l'uso della forza usata contro
i manifestanti non coinvolti nelle ostilità, per la violenza ed i sequestri dei candidati
dell'opposizione e dei loro sostenitori, per la detenzione di attivisti e difensori
de diritti umani, di perquisizioni e vessazioni di organizzazioni non governative
indipendenti”, ha detto Pillay in una dichiarazione. (Panoramica internazionale
a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio
Vaticana Anno LIV no. 355
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