2010-12-21 14:59:25

A Pontedecimo il 65.mo suicidio in un carcere italiano del 2010. La riflessione del cappellano del penitenziario, don Mario Montaldo


Ancora un suicidio nei penitenziari italiani è il 65.mo dall’inizio dell’anno. Due giorni fa, nel carcere di Genova Pontedecimo un detenuto italiano di 24 anni si è impiccato. Solo poche ore prima, anche un suo compagno di cella aveva tentato il suicidio. È il terzo caso in Italia in meno di una settimana: nella sola giornata di sabato, due reclusi si sono tolti la vita negli istituti Preturo dell’Aquila e Vassone di Como. Sulle condizioni di vita all’interno del carcere genovese di Pontedecimo, Paolo Ondarza ha intervistato il cappellano don Mario Montaldo:RealAudioMP3

R. – Ritengo che sia una delle carceri dove vorrei "vivere", se dovessi essere messo in carcere. Essendo piccolo, non ha quella faccia austera del carcere. I carcerati tra di loro familiarizzano.

D. – Se non è la struttura a presentare particolari problemi, da un punto di vista igienico, da un punto di vista di convivenza dei detenuti, a cosa si devono i casi di suicidio e tentato suicidio degli ultimi giorni?

R. – C’è sempre la disperazione di un carcere che ti priva della libertà, ovvero il maggior dono che, creandolo, Dio fece all’uomo. Anche se il carcere fosse d’oro e avesse tutti i comfort, senza la libertà è finita.

D. – E quale potrebbe essere secondo lei, alla luce della sua esperienza, una proposta, una soluzione alternativa?

R. – Per quelli che non sono delitti gravi, come lo è l’omicidio, cioè per i fatti singoli, furtarelli o reati di droga si dovrebbero trovare altre soluzioni, magari anche di tipo pecuniario, perché io vedo che quando si è toccati dal punto di vista economico, quando si devono pagare le multe per eccesso di velocità, questo pesa e si sta attenti a non farlo più.

D. – Molti sottolineano come l’avvicinarsi del Natale accentui la condizione di solitudine dei detenuti...

R. – La domenica mi riempiono di bigliettini, dove mi chiedono di telefonare alla mamma, alla famiglia e così via. Questo è il denominatore comune di tutti quelli che sono in carcere: il pensiero e la nostalgia dei parenti del cuore, che hanno lasciato fuori. (ap)







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