Sud Sudan: allarme di Msf per un'epidemia di Kala azar
Bisogna intervenire il prima possibile per contenere i devastanti effetti dell’epidemia
di Kala azar che ha colpito il Sud Sudan. E’ l’allarme lanciato dall’Organizzazione
internazionale Medici Senza Frontiere che sta fronteggiando, in Africa, la peggiore
diffusione di leshmaniosi viscerale degli ultimi otto anni. La patologia, se non curata,
uccide nel 100% dei casi entro quattro mesi ed è uno dei sintomi dell’ampia crisi
medico-umanitaria che ha colpito il Paese. Il Sud Sudan è stato devastato da un guerra
civile durata 21 anni che ha ucciso due milioni di persone e creato sette milioni
di sfollati. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Gianfranco
De Maio, responsabile medico di Msf Italia.
R. – Un’epidemia
causata da un protozoo – la leishmania – che viene inoculata da un moscerino. Ci sono
diverse forme in tutto il mondo, ma in alcune aree del globo – in particolare in Amazzonia,
nell’Africa orientale e nel Golfo del Bengala – la malattia assume caratteri gravi,
mortali perché interessa fegato, milza e linfonodi.
D. – Dove si sta
verificando questa epidemia?
R. – Siamo nelle zone dell’Alto Nilo, quindi
verso il confine con l’Uganda, nella zona di Bor, Pibor che ha sempre rappresentato
il tallone d’Achille della regione, da un punto di vista sanitario.
D.
– Che dimensione ha il contagio?
R. – Dobbiamo prendere i nostri numeri,
perché è molto difficile estrapolarli in quanto spesso gli stessi dati demografici
non sono chiari. Possiamo soltanto dire che nel 2010 noi avevamo trattato più di 3
mila persone: è evidentemente un dato allarmante perché poi dobbiamo moltiplicare
per tutti i possibili casi che sono intorno e che non vengono alla nostra osservazione.
D.
– Quasi nel cento per cento dei casi, risulta mortale se non viene curata; se diagnosticata
in tempo, invece, si risolve nel 95 per cento dei casi …
R. – Certo.
Il problema qual è? In particolare che nell’Africa orientale, quindi tra Sud Sudan,
Etiopia e Nord Uganda, questa malattia colpisce popolazioni che sono estremamente
marginali, quindi lontane da centri di salute: è difficilissimo fare arrivare i farmaci.
D.
– Come si può intervenire?
R. – Tentare di accorciare i piani di trattamento,
perché trattare una persona in quelle condizioni logistiche per un mese, o anche solo
per quindici giorni, con lo stesso farmaco per endovena, è difficilissimo! Bisognerebbe
bloccare queste persone, ricoverarle. Ma dove? E poi è assolutamente necessario l’abbassamento
del prezzo dei farmaci efficaci!
D. – Quindi, nell’immediato le speranze
sono affidate ad organizzazioni come la vostra?
R. – Assolutamente sì!
A noi, ai missionari … alle uniche organizzazioni che per ora, in una situazione così
instabile, sono presenti in maniera capillare nel territorio, dove – come dicevo –
non arriva nessun altro.
D. – Il Sud Sudan è stato teatro di una guerra
civile che ha provocato due milioni di vittime e sette milioni di sfollati. La situazione
sanitaria è drammatica; altissimo il tasso di malnutrizione. Il 9 gennaio ci sarà
il referendum sulla secessione. Migliaia di persone rientreranno nel Paese: questo
aumenterà il contagio?
R. – Noi non immaginiamo che l’arrivo di queste
persone per il referendum possa automaticamente, sic et simpliciter, far aumentare
il numero di casi; certo, c’è una situazione sanitaria molto precaria e il peso di
altre persone che vengono dall’estero potrebbe destabilizzare ancora di più un sistema
già fragilissimo. (gf)