Scontri in Bielorussia dopo la vittoria del presidente Lukashenko: centinaia di arresti
Ancora alta la tensione in Bielorussia all’indomani del nuovo successo elettorale
del presidente Lukashenko confermato al quarto mandato con quasi l’80% dei voti. Scontri
e assalti ai palazzi governativi sono stati respinti dalla polizia: oltre 600 gli
arresti tra cui anche 7 dei 9 candidati dell’opposizione. Ferma la condanna di Ue
e Stati Uniti che ne chiedono la scarcerazione, mentre si moltiplicano le accuse di
brogli, specie da parte dell’Osce. Per il presidente Lukashenko l’accaduto è stato
solo banditismo voluto dall’opposizione, ma in Bielorussia, avverte, non ci saranno
“né rivoluzione ne' criminalità''. Sulla situazione nel Paese, Salvatore Sabatino,
ha chiesto un commento a Vittorio Strada, docente di Storia e Letteratura russa presso
l’Università Ca’ Foscari di Venezia:
R. – Il fatto
che ci siano state queste manifestazioni di protesta, di resistenza e di opposizione
è un fatto positivo, che testimonia la vitalità della società civile bielorussa. Quanto
al risultato delle elezioni – scontato per tutti gli osservatori e gli analisti –
crea una situazione problematica, non tanto all’interno della Bielorussia, dove c’è
questa opposizione, seppure minoritaria e repressa, ma nei rapporti internazionali.
D.
– L’Unione Europea ha mostrato negli ultimi anni un prudente disgelo nei confronti
della Bielorussia, mentre gli Stati Uniti hanno di fatto condannato l’uso della forza
in queste ore. Cosa possiamo attenderci ora sullo scacchiere internazionale?
R.
– La Bielorussia "fa gola" certamente alla Russia, che tratta e ha rapporti complessi
e difficili con Lukashenko, ma che è arrivata ultimamente ad un compromesso, favorendo
economicamente il potere di Lukashenko, con delle concessioni sui prodotti energetici,
in particolare il petrolio. L’America è distante e può mantenere questo rapporto più
forte, più rigido; l’Europa ha tutta la convenienza, pur mantenendo le distanze e
protestando, a non perdere un rapporto di carattere economico con questo potere, che
durerà ancora per anni.
D. – Come diceva lei, l’opposizione c’è, eppure
non riesce ad imporsi. Questa debolezza è legata anche al fatto che al suo interno
è molto divisa?
R. – Indubbiamente. Questo è il caso di molte opposizioni,
che si sono determinate all’interno di Paesi ex comunisti: il potere ha una sua compattezza
e una sua unità, oltre ad avere la forza repressiva naturalmente, mentre la debolezza
dell’opposizione è la sua frammentazione. Pesa il fatto che non ci sia un fronte unico
oppure che il fronte unico sia così composito, con alleanze precarie, non giustificate
se non dall’opposizione stessa al potere, che rende questa opposizione debole. Avviene
questo anche all’interno della stessa Russia. Sono delle opposizioni spontanee, un
segno positivo della vitalità della società, tutto sommato, che però non riescono
a costituirsi in un’organizzazione unitaria, capace di costituire un’alternativa politica
al potere. Quindi, uno dei motivi di forza del potere sta anche in questa debolezza
e frammentazione delle opposizioni.
D. – Quello che governa Lukashenko
è ancora un Paese con un’economia congelata ai tempi dell’Unione Sovietica. Come si
inserisce nel contesto economico internazionale?
R. – Dobbiamo riconoscere
che Lukashenko ha una certa abilità, altrimenti non sarebbe rimasto al potere; è una
persona che sa giocare su vari tavoli - su quello della Comunità Europea, su quello
della Federazione Russa - e non si può non riconoscere anche che esiste un ampio margine
di consenso, in una situazione di stabilità, di relativo benessere rispetto ad altre
situazioni più catastrofiche dell’area ex sovietica. E questo è quello che garantisce
a Lukashenko quel paradossale “consenso autoritario” di una parte della popolazione:
l’economia, tutto sommato, è un’economia funzionante. (ap)