2010-12-17 14:31:41

Guatemala: Chiesa e società civile contro violenza e impunità


Sono oltre 62.000 i guatemaltechi assassinati dalla fine della lunga guerra civile cominciata nel 1960 e terminata con gli accordi di pace del 29 dicembre 1996 con un bilancio di oltre 250.000 morti. E chi si batte per difendere i diritti umani in Guatemala, paga in prima persona, come Emilia Quan Stackman, sociologa, 33 anni, sequestrata e uccisa nei giorni scorsi a Paquix, nel dipartimento di Huehuetenango: un crimine commesso in un Paese in cui, secondo la Corte internazionale contro l’impunità, il 98% degli omicidi non viene investigato. “La violenza crescente ha diverse origini. Tra queste, anche le politiche portate avanti dai diversi governi:” dice all'agenzia Misna Nery Rodenas, direttore dell’Ufficio per i diritti umani dell’arcivescovado di Guatemala (Odhag), già guidato da mons. Juan José Gerardi Conedera, assassinato il 26 aprile 1998, due giorni dopo aver diffuso il rapporto sulle atrocità della guerra ‘Guatemala nunca más’ (Guatemala mai più). Proprio uno studio recente dell’Odhag ha documentato che dall’arrivo della pace, le vittime della violenza sono costantemente salite: durante l’amministrazione del presidente Álvaro Arzú (1996-2000) se ne sono contate 13.582; sotto Alfonso Portillo (2000-2004) 14.000 e col suo successore Oscar Berger 21.511. “Durante il mandato di Berger sono state effettuate molte azioni repressive e commesse esecuzioni arbitrarie. Per questo tra i governi di Portillo e Berger c’è un aumento del 53% degli omicidi. Tra il governo di Berger e quello attuale del presidente Alvaro Colom l’aumento si è mantenuto ma, secondo il nostro studio, pari al 14%” aggiunge Rodenas. E’ sbagliato, tra l’altro, credere – osserva il direttore dell’Odhag – che la violenza “sia un’esclusiva delle classi meno abbienti. Certamente esiste molta violenza nei settori esclusi, dove hanno origine le ‘maras’ (o ‘pandillas’, bande criminali giovanili diffuse in tutto il Centroamerica), ma è una percentuale minore rispetto al crimine organizzato, da cui si origina la maggior parte della violenza”. Per frenarla, dice ancora Rodenas, “bisogna rendere operativo il sistema dell’amministrazione della giustizia”. Il cosiddetto ‘Accordo nazionale per il progresso della sicurezza e della giustizia’, firmato nel 2009 dai responsabili dei tre poteri dello Stato e dal procuratore generale, include ben 101 punti relativi alla riforma dell’amministrazione giudiziaria, “ma secondo un recente rapporto – evidenzia il direttore dell’Odhag - solo il 14% di questi punti sono stati applicati. L’arcivescovo metropolitano, il cardinale Rodolfo Quezada, e personalità come il procuratore dei diritti umani Sergio Morales, il rettore dell’Università statale di San Carlos Eduardo Gálvez e il presidente dell’Alleanza evangelica del Guatemala Jorge Morales, hanno accettato di entrare nella commissione di verifica dell’accordo ma si sono ritirati constatandone il mancato rispetto. Bisogna riprendere questo accordo – conclude Rodenas - per compiere quelle riforme istituzionali essenziali per lottare con più efficacia contro la delinquenza e l’impunità. Ma sono necessari cambiamenti profondi per rafforzare l’inclusione sociale”. (R.P.)








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