Denuncia dell’Onu: “I cristiani iracheni costretti a fuggire”. Natale di paura per
chi resta
I cristiani continuano a scappare dall’Iraq per paura che si ripetano attentati come
quello del 31 ottobre contro la chiesa Nostra Signora del Perpetuo Soccorso di Baghdad,
in cui persero la vita due sacerdoti e oltre 50 fedeli. La denuncia, oggi a Ginevra,
da parte dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite (Acnur), secondo il quale la
Svezia nei giorni scorsi, avrebbe respinto con la forza, 20 rifugiati iracheni di
confessione cristiana. “Un lento, ma costante esodo”: così Melissa Fleming, portavoce
dell’Acnur, ha definito la progressiva fuga di cristiani dall’Iraq verso zone più
sicure come la piana di Ninive o il Kurdistan, oppure, chi può, all’estero. Secondo
una stima del 2009, i cristiani nel Paese sono tra i 5 e i 600mila tra caldei, siro-cattolici
e siro-ortodossi. Oltre il 50% di essi, prima dell’attacco del 31 ottobre scorso,
viveva nella capitale, ma forte era la presenza anche a Mosul, con una comunità di
circa 50mila persone, ora ridotta a non più di 7-8mila. E proprio a Mosul, che è una
delle città più colpite dalla violenza anticristiana, a Natale resteranno aperte solo
tre chiese, con polizia ed esercito a presidiare la zona; saranno abolite le veglie
notturne e mantenute solo le celebrazioni del 25, per ragioni di sicurezza. “I fedeli
ormai hanno quasi tutti lasciato la città – è la testimonianza dell’arcivescovo mons.
Emil Shimoun Nona – le Messe del 25 saranno celebrate in spirito di preghiera e condivisione
verso le famiglie vittime degli attacchi anticristiani”. La situazione non è migliore
a Kirkuk, come racconta all'agenzia Sir l’arcivescovo, mons. Louis Sako: “La strage
degli innocenti ordinata da Erode che leggiamo nel Nuovo Testamento la viviamo sulla
nostra pelle ogni giorno – ha detto - possiamo proteggere le chiese, ma non loro.
Una volta usciti, infatti, sarebbero bersagli, tra l’altro anche riconoscibili dagli
abiti della festa indossati”. Potranno, invece, assistere alla veglia di Natale, 100
profughi accolti nella parrocchia di Sulemanya, nel Kurdistan iracheno, dove la situazione
è più tranquilla. (A cura di Roberta Barbi)