Australia: dolore dei vescovi per la tragedia del mare al largo delle coste del Paese
La Chiesa australiana ritiene prematuro e pericoloso il rientro in patria dei rifugiati
afgani attualmente ospitati in Australia. In questo senso si è espresso ieri mons.
Joseph Grech, vescovo incaricato per i migranti della Conferenza episcopale, commentando
la notizia dell’imminente firma di un accordo tra il governo australiano e le autorità
di Kabul per il rimpatrio 300 rifugiati afgani di etnia Hazara. Secondo mons. Grech
– riferisce l’agenzia Cns -, non esistono le condizioni per il loro rientro in Afghanistan
“considerato ancora molto pericoloso”. Dello stesso tenore il giudizio del direttore
dell’Ufficio migranti e rifugiati dei vescovi, padre Maurizio Pettina, secondo il
quale non ci sono sufficienti informazioni sulla situazione in Afghanistan per decidere
il loro rimpatrio. “Si tratta di persone che hanno validi motivi per fuggire dal loro
Paese e bisognose di protezione internazionale”, si legge in una nota che chiede al
governo australiano di “valutare attentamente” la decisione “considerato il numero
crescente di arrivi in Australia da questa parte del mondo”. La vicenda del rimpatrio
dei rifugiati afgani è salita agli onori delle cronache in concomitanza con la notizia
della morte di 50 richiedenti asilo, in gran parte iracheni e iraniani, annegati ieri
al largo delle coste australiane. L’imbarcazione sulla quale erano trasportati è
affondata a 1.600 miglia da Perth. Secondo mons. Grech, questa ennesima tragedia dell’immigrazione
conferma la complessità della questione dell’accoglienza dei richiedenti asilo: “Dobbiamo
riconoscere che c’è gente che fugge da situazioni disperate e considerare seriamente
i motivi che spingono queste persone a prendere la decisione di partire”, ha detto
il presule. La Chiesa australiana è intervenuta più volte in questi anni sulle rigide
politiche migratorie in vigore in Australia. Nelle mire dell’episcopato vi è, tra
l’altro, la cosiddetta “Pacific Solution” che regola la valutazione delle domande
degli immigrati clandestini prevedendo la detenzione dei richiedenti asilo in isole
australiane, ma fuori dalla “zona di immigrazione”. In Australia dal 2001 sono arrivati
più di 14.mila boat people, la metà dei quali ha ottenuto asilo. Secondo le ultime
statistiche delle Nazioni Unite il numero dei richiedenti asilo nel Paese nel 2009
avrebbe subito un balzo del 30%. (L.Z.)