Svizzera: il richiamo dei vescovi contro l’eutanasia
Non esistono condizioni di vita umana indegne di essere vissute: parte da questa premessa
il richiamo lanciato, in una nota, dalla Commissione di bioetica della Conferenza
episcopale svizzera (Ces). Il documento è stato reso noto ieri, a pochi giorni dall’assoluzione
di un ex medico cantonale di Neuchâtel, Daphné Berner. La dottoressa era stata accusata
di “omicidio su richiesta della vittima”, per aver praticato l’eutanasia ad una giovane
donna afflitta da una malattia degenerativa che l’aveva completamente paralizzata.
Ma il Tribunale correzionale di Boudry, invece, l’ha assolta, riconoscendo nel caso
specifico “uno stato di necessità”. Una decisione contro la quale si schierano i
vescovi svizzeri che segnalano due rischi: quello che “l’omicidio su richiesta della
vittima” diventi non punibile e che questo tipo di morte sia ritenuto “un atto legittimo”.
Ribadendo, invece, l’equivalenza tra tale tipologia di omicidio e l’eutanasia, la
Commissione di bioetica sottolinea: “Le leggi prescrivono i fondamenti della vita
nella società. E il divieto di provocare la morte altrui o di esserne complice deve
restare non negoziabile”, poiché “non esistono condizioni di vita umana che, per definizione,
sarebbero indegne di essere vissute”. I vescovi svizzeri respingono quindi con forza
“l’idea che, in alcune circostanze, potrebbe esserci la necessità di aiutare una persona
a morire” e ancora di più “l’ipotesi che questo sia compito del medico”. “Se c’è una
necessità – conclude la nota – è quella di un accompagnamento nella solidarietà umana,
che unisca competenza e sollecitudine, come avviene nel caso delle cure palliative”.
(I.P.)