Pakistan: la legge sulla blasfemia fa un'altra vittima
Mentre si moltiplicano appelli e proteste per la liberazione di Asia Bibi, la controversa
legge sulla blasfemia fa un’altra vittima di una minoranza religiosa, questa volta
della setta musulmana ismaelita che fa capo all’Agha Khan. L’episodio dimostra, se
mai ce ne fosse bisogno, come la legge sulla blasfemia danneggi la convivenza civile
pakistana. Il fatto è avvenuto ad Hyderabad, seconda città della provincia del Sindh.
Naushad Walyani, un medico, è in carcere per un gesto all'apparenza banale. Un rappresentante
farmaceutico Muhammed Faizan, si è recato il 9 dicembre nel suo studio per vendere
alcuni prodotti. ''Il medico dopo aver preso il biglietto da visita del rappresentante
lo ha gettato nel cestino ed è uscito'' scrive un giornale locale. Evidentemente risentito
per il comportamento, Faizan è tornato più tardi con alcuni colleghi intenzionato
a ''dare una lezione'' al medico. E' scoppiato un violento litigio tra i due. Il rappresentante
ha minacciato di denunciare il professionista per blasfemia per il mancato rispetto
al nome sacro impresso sulla carta da visita. Secondo quanto riportano i media locali,
venerdì scorso alcuni colleghi di Faizal hanno picchiato a sangue il medico, che,
in seguito a una denuncia in base alla legge sulla blasfemia (Blasphemy Act) è poi
stato arrestato dalla polizia ed è ora in attesa di processo. A nulla sono servite
le scuse e l'assicurazione che ''non aveva intenzione di insultare il Profeta buttando
il biglietto nel cestino''. La denuncia è stata appoggiata dai leader religiosi locali.
Nel Paese prosegue intanto il dibattito sulla necessità di modificare, o abolire la
legge sulla blasfemia. Intanto a Londra e a New York si sono svolte manifestazioni
di pakistani cristiani, davanti al Consolato nazionale e davanti alla sede delle Nazioni
Unite. I manifestanti chiedevano il rilascio di Asia Bibi, condannata a morte per
blasfemia. Essi hanno consegnato un memorandum in cui chiedevano l’immediato rilascio
della donna e protestavano contro la decisione dell’alta Corte di Lahore di impedire
al presidente Asif Ali Zardari la concessione della grazia prima della sentenza di
appello. L’alta Corte però non ha ancora fissato la data dell’udienza per la revisione
della sentenza. La legge sulla blasfemia continua a essere usata come un spada di
Damocle sul capo di cristiani e di altre minoranze religiose che sanno di poter essere
accusati in ogni momento, e che la legge e la polizia non sono al loro fianco. Il
vescovo di Islamabad/Rawalpindi, ha appoggiato la petizione presentata all’ufficio
delle Nazioni Unite di Islamabad dall’organizzazione “Life for All” nella Giornata
mondiale per i Diritti Umani, il 10 dicembre scorso. “Appoggio questa richiesta dei
gruppi per i diritti umani a favore di Asia Bibi. Prego affinché Asia Bibi possa tornare
a casa e celebrare il Natale con la sua famiglia. Il mio messaggio è che tutti i cristiani
del Pakistan sono pakistani che amano la patria, amano il loro Paese, servono il loro
Paese; hanno il diritto di praticare la loro fede ed esprimere ciò in cui credono
senza paura di essere uccisi dagli estremisti o condannati a morte dallo Stato”, ha
detto mons. Rufin. Padre Anwer Patras ha sottoscritto anch’egli la petizione: “La
Chiesa cattolica è compatta con la famiglia di Asia Bibi, vogliamo che sia presto
con la sua famiglia. E non posso non apprezzare gli sforzi che i gruppi per i diritti
umani in Pakistan compiono per lei”. (R.P.)