Localizzato a circa 50 chilometri dal confine con Israele il gruppo di profughi eritrei
sequestrati da trafficanti
Il Papa all'Angelus ha dunque lanciato un accorato appello per gli oltre 80 profughi
eritrei sequestrati nel deserto del Sinai. I profughi sono stati localizzati. Sono
tenuti prigionieri in territorio egiziano a circa 50 chilometri dal confine con Israele.
I trafficanti che li hanno sequestrati, pretendono il pagamento di 8 mila dollari
per il rilascio di ognuno di loro. La situazione dei profughi eritrei è resa ancora
più grave anche dalle politiche sempre più stringenti sull’immigrazione adottate dall’Unione
Europea. Misure che vengono aggirate tramite le nuove rotte dell’immigrazione, come
conferma Christopher Hein, direttore del Centro Italiano per i Rifugiati (Cir),
intervistato da Marco Guerra:
R.
– E’ parte di un dramma certamente ben più vasto di gente che disperatamente cerca
vie per arrivare nel territorio dell’Unione Europea. Le misure che sono state prese,
rendono questo tentativo sempre più difficile a cominciare da qualche anno fa, quando
molti africani arrivavano in Europa passando per lo Stretto di Gibilterra. Poi la
Spagna ha chiuso questa via con la forza militare. Questo movimento si è successivamente
spostato nell’enclave spagnola in territorio marocchino, ma comunque sempre parte
dell’Unione Europea. Quindi è stato elevato il muro intorno a questa enclave spagnola
e la rotta si è spostata verso le Isole Canarie. A quel punto, la Spagna è intervenuta
nei Paesi di transito – Mauritania e Senegal – e ha chiuso anche questi passaggi.
L’Italia ha poi raggiunto l’accordo con la Libia e ha assicurato anche tutto il supporto
logistico e tecnico. Però non c’è stata una soluzione per chi, come gli eritrei, non
può tornare nella propria terra. Sono infatti rifugiati e temono per la loro incolumità
e per la loro vita. Questa è una situazione in cui più si mettono in atto misure di
contrasto e di vigilanza delle frontiere europee, più si aumenta il mercato delle
organizzazioni criminali che ne approfittano. La risposta, secondo noi, è quella di
aprire finalmente canali per un arrivo protetto, un arrivo legale di queste persone,
senza che debbano mettere a rischio la propria vita.
D.
– Cosa potrebbe avvenire al gruppo di questi profughi dopo un eventuale rilascio?
R.
– In Egitto rischiano di essere confinati in un centro di detenzione delle autorità
egiziane. Ma in tal caso ci sarebbe, comunque, un modo per contattare l’ufficio dell’Alto
Commissariato dell’Onu per i Rifugiati e cercare di far riconoscere loro lo status
di rifugiati. L’Egitto ha aderito e ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati,
pur non avendo dato grande attuazione a questo impegno internazionale. La possibilità
di ottenere protezione in Egitto esiste ma la via da percorrere non è facile.
D.
– Per i rifugiati ci sono convenzioni che prevedono particolari tutele. E’ così difficile
applicarle?
R. – Fino a 20 anni fa, la stragrande maggioranza
di rifugiati è arrivata in Europa in modo regolare, perché non c’era ancora questo
rigido sistema di visti d’ingresso. Era quindi molto più facile anche per i cittadini
provenienti da Paesi terzi entrare nel territorio della comunità europea. Da quando,
poi, in Europa sono state introdotte tutte queste misure per una maggiore sorveglianza
delle frontiere con le operazioni coordinate dall’agenzia Fronte che gestisce gli
sforzi delle polizie di frontiera - con il regime dei visti d’ingresso che praticamente
ormai si applicano a tutti gli Stati africani e alla stragrande maggioranza degli
Stati asiatici - le conseguenze sono che oggi non ci sono più ponti per entrare nella
“Fortezza Europa”. (gf)