Il dramma dell'aborto e i suoi retroscena in un libro presentato all'Università Europea
di Roma
L’interruzione della gravidanza analizzata da giuristi, psicologi, medici e studiosi.
La descrive il libro “L’aborto e i suoi retroscena. Vita e maternità spezzate”, pubblicato
da If Press, per far conoscere i diversi aspetti che essa implica e che molti non
conoscono. Presentato ieri a Roma all’Università Europea, il volume nasce da una riflessione
sui dati che riguardano la pratica abortiva in Europa. Ce ne parla Tiziana Campisi:
Sono tre
milioni gli aborti volontari contati nel 2008 nel continente europeo, un miliardo
quelli degli ultimi trent’anni. Una pratica, quella abortiva, disciplinata dalla legge,
ma che da sempre pone interrogativi di coscienza di fronte all’embrione dotato di
un proprio patrimonio genetico sin dalla fusione dei due gameti – maschile e femminile
– che lo hanno generato. Lo stesso Ippocrate già nel V secolo a. C., considerando
la vita prenatale, affermava: “A nessuna donna io darò un medicinale abortivo”. Ma
chi sceglie di abortire a quali conseguenze può andare incontro? Ce lo spiega Virginia
Lalli, curatrice del libro “L’aborto e i suoi retroscena” insieme ad Alessia
Affinito:
R. - Oltre il 70 per cento delle donne che hanno abortito
soffrono di sindrome post-aborto: flashback, allucinazioni diurne, incubi notturni
e ci sono stati degli esiti anche molto drammatici.
D. – Come porsi
di fronte a queste problematiche?
R. – Sicuramente con un maggiore sostegno
alla maternità e quindi con un’applicazione dei primi articoli della legge 194 che
prevedono una serie di misure di sostegno alle madri. Questa parte della legge è disattesa.
Quindi, nei consultori, le donne non trovano l’aiuto del quale invece necessiterebbero.
Ma
quali altri retroscena considerare quando si parla di aborto? Risponde Alessia
Affinito:
“Il problema è cercare di capirne di più su questo
fenomeno. Siamo stati allevati nella cultura che ci ha detto che l’aborto è un fatto
privato, riguarda solo al donna. Ma non è così, perché ciascuno di noi fa parte di
un sistema di relazioni, è un problema anche del padre, è un problema sociale”.
Dunque,
diritto e morale, in tema di aborto, sembrano in contrasto; come conciliare allora
libertà individuale ed etica? Lo abbiamo chiesto a Mario Palmaro,
docente di filosofia del diritto all’Università Europea di Roma:
R.
– A livello apparente sembra proprio che l’eventuale divieto dell’aborto neghi una
libertà: quella della donna di decidere. La realtà, però, è che nell’aborto procurato
i soggetti coinvolti sono due: il nascituro e la donna. Quindi questo significa che
non possiamo considerare l’aborto procurato come una questione di coscienza, una questione
da affidare alla volontà della donna, perché questa volontà collide con il diritto
alla vita del nascituro. E’ perciò compito dell’ordinamento giuridico limitare la
libertà della donna, in questo caso, per tutelare il diritto alla vita del nascituro.
La libertà individuale di cui parla la nostra società spesso è intesa come libertà
di fare ciò che si vuole, di essere guidati dai propri desideri, di trasformare i
desideri in diritti. Viceversa, l’essere umano innocente ha un diritto alla vita che
è più forte della volontà di rifiutare questa vita. La legge umana dovrebbe tutelare
con particolare rigore la vita del concepito. Si scontrano due visioni del diritto:
una di tipo positivista, per la quale esiste solo il diritto positivo, ed una, invece,
di impostazione giusnaturalistica, che ritiene che la legge positiva deve essere conforme
alla legge naturale. Se si riconosce l’esistenza della legge naturale, si capisce
allora che tutte le leggi che ammettono l’aborto procurato sono gravemente ingiuste
perché contrastano con un diritto fondamentale: quello alla vita.
D.
– C’è un modo per rispondere alle problematiche che oggi vengono poste, a proposito
dell’aborto, per fronteggiare la realtà legislativa esistente?
R. –
Innanzitutto credo che il primo passo sia giudicare, con particolare severità e con
molta chiarezza, le leggi ingiuste per quello che sono. Questo non comporta automaticamente
la loro eliminazione, che invece è un processo politico e culturale molto più lungo,
ma il primo gradino consiste proprio nel giudizio chiaro, netto, severo, sulle ingiustizie
di una legge come la 194 o come leggi simili. Questo giudizio, poi, mette in moto
una serie di atti che, a seconda delle proprie competenze – come ad esempio quella
del politico – possono cercare di camminare in quella direzione. (vv)